Materiali, tecniche di stampa, ma prima di tutto strategia: sono gli elementi che consentono a un’etichetta di spiccare nel mare della comunicazione. Abbiamo fatto il punto sul settore in termini di design, supporti e lavorazioni con Maricetta Gianfalla di Alias (Palermo), Simonetta Doni di Doni & Associati (Firenze), Zeno Bersanetti di NSG Design (Bergamo) e Giovanni Murgia di Redfish ADV (Sassari).
Di Roberta Ragona | su PRINTlovers 105
Quali sono in questo momento le caratteristiche che fanno emergere un’etichetta? È possibile definire la direzione del settore in fatto di comunicazione, sostenibilità di supporti e lavorazioni, trend di mercato? Sì, se prima di parlare di materiali e tecniche si parte dalla strategia. Spiega Simonetta Doni, fondatrice di Doni & Associati: «Siamo uno studio specializzato nel curare l’immagine delle aziende vinicole. Ma un’immagine che non sia cucita sull’azienda significa poco. Bisogna comunicare per raggiungere lo scopo, che è aiutare l’azienda vinicola a farsi conoscere sul mercato con i suoi valori, i suoi ideali e i suoi obiettivi. L’azienda si deve presentare con la sua faccia, non con una maschera che funziona per tutti e che può essere passata di viso in viso. Ci vogliono idee forti e la sensibilità di mettersi al servizio di ciò che l’azienda vuole esprimere».
Un pensiero strategico che è anche il cuore del lavoro di NSG Design, come ci racconta Zeno Bersanetti, l’Art director: «Quello che ci caratterizza come studio è una lunga storia, partita più di 40 anni fa quando i miei genitori, Giacomo Bersanetti e Chiara Veronelli, aprirono il primo studio, arrivando al design dopo una formazione nelle accademie d’arte di Bergamo, Milano e Carrara. Nella sua incarnazione attuale, NSG Design è un’agenzia di design strategico, che si distingue per uno stretto rapporto con i clienti che parte da un’intensa fase di analisi per arrivare al design con obiettivi di comunicazione chiari che indirizzano l’azione progettuale».
Dove nascono le storie
In un settore come il vino le storie sono legate al territorio, come sottolinea Giovanni Murgia, AD di Redfish ADV: «Dal 2009 ci occupiamo di comunicazione enogastronomica. Il vino è al centro del nostro lavoro. Qui in Sardegna significa parlare di case vinicole con un legame forte con i propri luoghi, spesso a dimensione familiare, con diverse generazioni alle spalle e la cui attività ha un impatto significativo sulla comunità».
Ne è un esempio la comunicazione per 932, un Carignano del Sulcis Superiore della Cantina di Calasetta. «Il nome ricorda l’anno di fondazione della cooperativa agricola, il 1932. Il progetto tiene insieme le storie dell’azienda, del territorio e della comunità che lo abita. Tramite tecniche di stampa come il debossing e la lucidatura abbiamo creato un design elegante per richiamare l’heritage, ma minimale e contemporaneo, con una buona presenza sulla bottiglia. Oggi più che mai la connessione proattiva tra progettista e stampatore è fondamentale».
Per raccontare storie che funzionino è importante non solo conoscere il proprio settore, ma anche raccogliere suggestioni di altri ambiti, come ricorda Maricetta Gianfalla, AD di Alias Communication and Design: «L’esperienza di Alias viene dalla fine degli anni ‘90, con l’idea di portare nel design un approccio strategico squisitamente creativo, grafico. Questo si riflette nel tipo di proposte su cui lavoriamo con le case vinicole, che si nutrono delle influenze di progetti con altre realtà culturali del territorio, come il Teatro dell’Opera di Palermo e il Teatro di prosa della città. Negli anni abbiamo collaborato con artisti come Milton Glaser, Emilio Tadini, Lorenzo Mattotti. Abbiamo costruito il nostro approccio sull’idea che se il vino è il prodotto della cultura di un territorio, la sua comunicazione è nutrita dalla tradizione culturale del territorio».
Vivacità creativa per nuovi pubblici
Quali sono oggi gli elementi che fanno emergere un’etichetta? Si possono individuare degli elementi di novità? Continua Gianfalla: «È un momento vivace per le innovazioni a disposizione di chi progetta, sia sui materiali che sulle tecniche. Il micro embossing e le nuove generazioni di foil – tra cui i foil trasparenti con perlescenza o diamantati – permettono effetti interessanti senza appesantire. È fondamentale un confronto continuo con i fornitori di foil, le cartiere e gli stampatori. Quello che si costruisce negli anni non è solo esperienza di progettazione ma una rete di interlocutori che non sono solo esecutori».
Murgia sottolinea le novità portate dall’apertura a un nuovo target: «Si cerca di avvicinare un pubblico, le nuove generazioni, meno abituato al consumo del vino, per cui si attinge ai linguaggi visivi di altre aree: un uso grafico di font d’impatto, etichette colorate affidate a illustratori dallo stile contemporaneo. Non è una transizione di consumo che passa solo dal packaging, ma la comunicazione può facilitarla».
A ogni canale di distribuzione il suo codice comunicativo. O no?
Target diversi, ma anche canali: come cambia il lavoro del designer per un prodotto destinato alla grande distribuzione? Dice Simonetta Doni: «La prima considerazione è, naturalmente, di budget: su un prodotto di grande consumo con milioni di bottiglie sono impensabili lavorazioni manuali. Bisogna bilanciare l’efficacia coi costi di produzione. Progetti con tirature più piccole aprono un campo di possibilità sia sul costo che sul tempo che può essere dedicato alla singola lavorazione». Come il caso del progetto di comunicazione realizzato con Frescobaldi e il vigneto dell’isola di Gorgona: «Gorgona è un'isola carcere dell'arcipelago toscano. Le cantine Frescobaldi sono state invitate a partecipare alla rimessa in attività del vigneto sull’isola e noi ci siamo occupati delle etichette e della comunicazione. Per primo è arrivato il vermentino, successivamente il rosso. L’idea che ci ha guidato è quella dell’isola e quindi del messaggio in bottiglia, una bottiglia che racconti la voce dell’isola, del carcere come luogo di ammenda ma anche di rinascita e riabilitazione. Sull’etichetta abbiamo messo un racconto che cambia per ogni annata, come un almanacco: siamo all’undicesimo anno. La bottiglia è avvolta in una carta chiusa da un bollo giallo che nasconde proprio come è nascosta Gorgona, ma se ti ci accosti puoi scoprire cosa c’è dentro».
Secondo Gianfalla, «la comunicazione dei diversi canali di distribuzione (GDO, enoteche e Ho.Re.Ca ) sotto alcuni aspetti sta convergendo. O meglio: nella GDO è cresciuto il bisogno di dare la sensazione del valore. Sicuramente bisogna essere più eclatanti. Quando il consumatore si trova da solo davanti allo scaffale dei vini, non ci sarà nessuno a spiegargli la filosofia dell’azienda, le scelte produttive e il territorio: l’unica parte del brand che può parlargli è il packaging, che quindi deve essere esplicito e diretto. La differenza è il tempo dedicato alla scelta e che una delle due è un’esperienza accompagnata». Un esempio è la declinazione del progetto di redesign per Duca di Salaparuta: «Abbiamo avuto l’incarico di rivedere tutta la gamma dei vini della Duca di Salaparuta per i 200 anni della cantina. Per le etichette top di gamma – il Duca Enrico e il Bianca di Valguarnera – abbiamo fatto un restyling molto essenziale: sono bottiglie pensate per un consumatore che conosce i vini, la cantina, i varietali. Tutte le bottiglie abbinano un foil platino per le cornici e sono numerate. Abbiamo individuato una palette a partire dai colori storici e li abbiamo ammodernati. Un azzurro cielo d’Aspra, un rosa tufo che ricorda i colori della pietra di zona, poi il rosso sanguigno per la firma del Duca di Salaparuta, che richiamasse il suo carattere straordinario ed eclettico. La cosa interessante è stata espandere questa ricerca di storicità e territorialità a tutta la gamma. Abbiamo utilizzato la palette per identificare le tenute e scavato nel mondo culturale di Bagheria per cercare delle ispirazioni, un universo ampio. Abbiamo scelto delle foto dell’archivio storico Alinari, immagini degli anni ‘60 in bianco e nero di Mimmo Pintacuda. Invece per il Triskelé monovarietale Nero d’Avola abbiamo scelto un pittore di carretti siciliani, Emilio Murdolo. E per finire per la linea di monovarietali un quadro di Renato Guttuso, lavorato con rilievi in vernice a simulare le pennellate. Le bottiglie parlano lo stesso linguaggio declinato in registri diversi in base a dove e come è più probabile che le si incontri».
Occasioni di acquisto e di consumo che influiscono sulle scelte di design, fa notare Bersanetti: «Un vino destinato al canale Ho.Re.Ca può permettersi di fare anche scelte minimal – grandi spazi e piccoli elementi – perché l’educazione del consumatore è affidata all’accompagnamento di un professionista, che sia il sommelier o l’enoteca. La bottiglia è parte dell’esperienza e si presta un’attenzione particolare all’aspetto sensoriale: sovrapposizioni di carte, lavorazioni tridimensionali, letterpress, effetti materici. Anche il momento del consumo è rilevante: se siamo con amici siamo in un momento di apertura, siamo più disponibili all’esperienza in senso sinestesico. Interagiamo col packaging in maniera diversa da quando facciamo la spesa con l’ansia del tempo e delle cose da non dimenticare». Niente vieta di portare le innovazioni pensate per un canale su un altro: «Un esempio è il progetto che abbiamo seguito per la cantina Nino Negri, una bella unione tra le tecniche storiche e contemporanee. Inizialmente si trattava di un’edizione limitata lavorata con la tecnica delle carte marmorizzate. La serie ha avuto un tale successo che il cliente ha voluto declinarla per la produzione in serie: qui ci è venuta in aiuto la stampa a dato variabile, che ci ha consentito di creare una serie di bottiglie che non avessero mai lo stesso disegno, ma senza i costi e i tempi delle tecniche artigianali. Le tempistiche e i budget non devono diventare un vincolo alla capacità del creativo di rispondere con idee efficaci. Un altro esempio guidato da questa filosofia sono le etichette per Sassorosso e la serie sulle vigne di montagna. È un progetto molto sentito perché è una collaborazione tra me e mio padre, uscito postumo alla sua scomparsa nel 2020. È un lavoro che trasmette in maniera forte la storia di un territorio da cui nasce un vino, replicando sulla carta le texture e la stratificazione rocciosa della montagna».
La sostenibilità come sistema
Quali caratteristiche dovrebbe avere un’etichetta per essere considerata sostenibile? Nota Bersanetti: «Non è più un momento in cui sulla sostenibilità dell’etichetta si può basare la comunicazione, se non all’interno di un percorso che parte dalla vigna e coinvolge tutta la filiera. L’innovazione lato materiali e tecniche di stampa è vivace: abbiamo assistito all’arrivo di carte riciclate dalle fonti più disparate come bucce d’uva, sfalci, materiali di risulta della lavorazione del cotone. Si cerca di ricavare da ogni materiale carte particolari per tramatura, consistenza, aspetto visivo. Per quello che riguarda le plastiche, si sta andando oltre le plastiche vergini e nel caso dei polimeri utilizzati nelle lamine, la riduzione della superficie della lamina senza pagare pegno sul piano qualitativo».
Un pensiero che deve essere sistemico per Gianfalla: «L’etichetta lavora in sinergia con gli altri elementi del packaging primario e secondario: mi viene in mente Crealis che sta lavorando molto sulla gamma di capsule totalmente riciclabili. La parte della confezione su cui si vedono i cambiamenti più importanti è il vetro, la ricerca è concentrata su bottiglie che a parità di prestazioni siano più leggere e trasportabili. C’è il filone del monomateriale, per cui alcuni elementi di brand possono essere stampati direttamente in forma, o la stampa serigrafica direttamente su vetro, senza etichetta».
Tenendo conto anche dei fattori non razionali del consumo, come ricorda Doni: «I fattori psicologici della comunicazione non vanno sottostimati. Un esempio è la percezione del valore di cui dicevamo prima: se da una parte si cercano bottiglie più leggere, spesso i consumatori associano all’idea di prestigio un vetro scuro e spesso. Quindi controintuitivamente viene scelta la bottiglia pesante. Un aspetto interessante sul modo in cui le norme possono influire sul design, invece, sono le capsule. Da quando le informazioni si sono spostate in etichetta, la capsula è diventata una scelta anziché una necessità. Si può omettere o sostituire con una pastiglia di cera in testa al sughero: la superficie è coperta, si può inserire direttamente l’apribottiglie nella cera ed è bella esteticamente. La mancanza della capsula non è mancanza, ma alleggerimento».
Vino digitale
Lavorare per sottrazione come attenzione non solo ai materiali, ma anche ai mezzi di comunicazione. È un anno di grandi trasformazioni nel rapporto tra la comunicazione stampata e media digitali. Come si riflette sul labeling? Dice Doni: «Una delle conseguenze meno scontate sul design dell’abitudine all’acquisto di vino online dipende dal device. Con un consumatore abituato a comprare da smartphone le possibilità sono due. Se abbiamo costruito un legame di familiarità con il brand tramite esperienza diretta – acquisto in enoteca, degustazione in cantina, consumo al ristorante – abbiamo solo bisogno di agganciarci alla memorabilità del lavoro fatto. Se abbiamo davanti un consumatore che non conosce il prodotto e deve prendere una decisione in base alle informazioni a schermo, il prodotto si deve rendere riconoscibile in pochi centimetri».
Si torna all’importanza della strategia, come sottolinea Murgia: «In questi anni la corsa al digitale non sempre è stata fatta in modo ragionato, pensando ad andare online senza pensare ai contenuti dedicati. Il rischio è di non sfruttare le potenzialità degli strumenti o addirittura abbandonarli perché non si vedono risultati. Io nel 2009 fui tra i primi a proporre a un cliente l’inserimento del QR Code in una retroetichetta. Ma una volta inserito un QR Code il passaggio successivo merita altrettanta attenzione: cosa vogliamo che faccia il consumatore? Che contenuti troverà? Di nuovo il punto non è lo strumento, ma un contenuto pensato con priorità chiare».
Con un forte ritorno della fisicità, nota Gianfalla: «È una fase di rinnovata centralità dell’esperienza diretta e di persona, di esperienze fisiche come gli inviti in cantina e le degustazioni. Sul versante labeling sicuramente il trend dei QR Code e dell’NFC possono essere strumenti che affiancano il consumatore al momento nella scelta, allargando il bacino di informazioni di un’etichetta senza dover aggiungere ulteriori elementi che vanno ad affollare il design».
Conclude Zeno Bersanetti: «Mi sembra ci sia un grande bisogno di verità e concretezza. In un momento in cui i social ci mettono davanti non più a una scarsità, ma a un eccesso di informazione, riempire una comunicazione di significato ha una forza in grado di penetrare il rumore di fondo».