Interviste

La cultura d'ambiente di Alessandro Agrati

Non c’è design senza funzione, non c’è benessere senza il rispetto dell’unicità della persona. E tutto parte dalla natura, dal territorio e dalla sua storia. Alessandro Agrati, designer e naso che ha creato CULTI MILANO, brand specializzato nelle profumazioni per l’ambiente e per la persona, ci racconta la visione che dà vita ai suoi progetti.

Di Michela Pibiri | Su PRINTlovers 95 

Mentre parlo con Alessandro Agrati dalla redazione di PRINTlovers a Segrate, lui è in macchina, diretto verso un cantiere. Sposta la videocamera del telefono dall’inquadratura del suo viso a ciò che si vede dal finestrino. «Vedi Michela? – mi dice – sono a solo mezz’ora da Milano, circondato da vigneti e cipressi. Questo paesaggio, questo territorio è tutto, non serve aggiungere niente. Vivere nella natura, ispirarsi alla natura è l’esperienza che tutte le persone dovrebbero fare». Una constatazione apparentemente semplice, che però, espressa da un designer, sintetizza un’intera visione del mondo e il germe stesso di ogni progetto. Sessant’anni, lombardo, Agrati è nato nella terra del design e dell’industria del mobile, dove, nei primi anni ’80, comincia a fare esperienza con i grandi marchi della Brianza. Mentre lavora come designer si scopre naso e decide di creare un marchio legato alla cultura d’ambiente. E “cultura” è la parola chiave da cui discende il nome stesso di CULTI, che richiama un’idea di conoscenza profonda, esperienza e ritualità.

Come nasce CULTI MILANO?
Nel mondo della progettazione di ambienti, nei primi anni ’80, mancava completamente il concetto di benessere. Scoprendomi naso ho pensato di unire design, profumo e funzione; e in qualità di naso – non di chimico – ho dato vita a una profumeria innovativa che ricalcasse lo stile della mia terra e la sua semplicità irreplicabile. Se ci pensiamo, quando si parla di cibo la semplicità del pane e dell’olio non può essere imitata in alcun modo, e così gli elementi essenziali del nostro territorio, in barba alle alte profumerie complesse inglesi e francesi. E così nel 1988 è nata CULTI, con il primo showroom aperto in Brera nel 1990, che offriva al cliente legni, tessuti e profumi: una sorta di battitore libero che si muoveva in un campo ancora inesplorato in cui il benessere della persona e la sua unicità fossero messi al centro. Dopo una fase che potrei definire di start-up durata circa 25 anni, 5 anni fa CULTI MILANO si è quotata in borsa senza mai rinunciare alla componente di artigianalità che la contraddistingue.

Prodotto e packaging, quando si parla di CULTI, sono indivisibili, frutto di una visione olistica. Quanto sono importanti i materiali che racchiudono il prodotto?
Le materie prime sono quelle della persona e dell’ambiente che abita: il profumo e i tessuti che si indossano, il legno che arreda. Dall’importanza del legno sono nati i midollini da inserire nella bottiglia per diffondere le fragranze: è un’idea di CULTI che è stata poi adottata da tutti. Oggi è diventata un’abitudine, ha trasformato il gesto del profumare gli ambienti in esperienza. Per CULTI ho scelto materiali innovativi ma soprattutto funzionali, che non miravano solo all’effetto wow: nel 1988 non c’era, come oggi, una filiera di partner a supportare il progetto, le bottiglie venivano sabbiate a mano, le etichette di tessuto venivano tagliate e applicate una alla volta. La mia prospettiva era quella dell’alto artigianato in grado di mettere insieme aziende diverse: quando si studia un prodotto si deve fare sistema, non affidarsi al caso ma creare qualcosa che abbia una visione lungimirante.

Cosa intende con visione lungimirante, e in che modo si può applicare al packaging?
Né le fragranze né il packaging di CULTI si sono mai basati sulle mode del momento: i nostri profumi di maggior successo sono stati creati 30 anni fa. Vengono poi create delle capsule collection, certo, che hanno un grande valore dal punto di vista commerciale ma non sono mai prevaricanti. Essere lungimiranti significa “togliere il tempo agli oggetti”, unendo innovazione, tradizione e cultura. Per CULTI la fusione tra prodotto e packaging è intrinseca alla sua stessa natura, ma posso tranquillamente dire, in generale, che i progetti più belli del mondo si fanno togliendo e non aggiungendo. Il packaging deve essere bello, ma ridotto al minimo. Fatto con poche cose, ma unico. Il prodotto deve restare ben protetto e ben presentato, quindi quando si toglie bisogna togliere bene.

CULTI ha partecipato a Brand Revolution 2022. Come ha vissuto il lavoro di interpretazione realizzato dall’agenzia Advision e dei partner myCordenons, Eurolabel, Luxoro e Varigrafica?
Quando si lavora sul marchio è importante dare input giusti e restituire messaggi chiari. È uno scambio: da parte del brand è fondamentale mantenere la coerenza e allo stesso tempo avere la capacità di lasciare libertà. Da parte dei partner, serve capacità di ascolto, ricezione del messaggio e condivisione. In Brand Revolution questo scambio c’è stato. Nella vita ho scartato progetti bellissimi ma non coerenti col marchio, perché voglio che un progetto nasca per me. Quando parlo di coerenza non parlo mai di DNA, ma parlo di “anima”: credo molto nel toccare le corde dell’anima, in tutti gli ambiti della vita, anche nella conversazione che stiamo avendo ora. Per farlo bisogna lasciare un segno che sia bello e coerente, credere in quello che si sta facendo, mai lasciarsi sovrastare dalla negatività.

Prima abbiamo parlato di benessere: come si è evoluto questo concetto nel tempo? Sono cambiate le richieste dei committenti nel suo lavoro di architetto e designer d’interni? Come si vivono oggi gli spazi?
Ciò che è cambiato nel tempo è la nostra capacità di essere visionari. Nei miei progetti per alberghi, spa e masserie ho sempre messo al centro la persona: siamo tutti esseri unici e distinti. E questa unicità si riflette negli spazi, che non sono luoghi da riempire ma da rispettare. Il benessere è andare incontro alle proprie abitudini, lasciarsi guidare dalla natura applicando i suoi principi a tutto e facendola entrare ovunque con forza e autenticità, dal living al giardino. Il mio approccio al progetto parte dal territorio, dal recupero di luoghi persi, per poi concedersi il lusso del vuoto usando pochi materiali ma giusti, e una luce rispettosa, sia naturale sia artificiale. Difficilmente mi cimento in un progetto nuovo, perché preferisco recuperare l’antico senza aggiungere nuovi volumi. Recuperare luoghi persi significa portare a galla la verità dopo decenni di inaridimento architettonico di cui il nostro Paese è vittima. Se è vero che non si può replicare la storia, è anche vero che si può riportarla in vita, ed è quello che ho fatto con la prima Spa CULTI aperta in Puglia nel 1990 recuperando una masseria e creando un’accoglienza naturale, legata alla nostra cultura e alla nostra storia. Non si troverà mai, in un mio progetto, un bagno turco: basta conoscere le tradizioni del territorio, da Roma agli scavi di Pompei, per trovare l’ispirazione per fare i bagni più belli del mondo. Recupero e integrazione con la natura implicano un approccio che è sempre stato sostenibile, ma tutt’oggi si fa ancora troppo poco per la sostenibilità. La nuova sostenibilità deve agire a tutti i livelli, usare la tecnologia per essere autonomi e vivere bene, avere una visione olistica e mettere l’unicità della persona al centro.

Cosa significa per lei “innovazione”?
Sembrerà banale, ma per me innovare significa portare del bene. Generare qualcosa che allunghi e migliori la qualità della vita: il bello e il buono sono fondamentali.

La sua visione del futuro?
Credo molto nella forza dei giovani. Spesso non abbiamo la capacità di lasciare loro spazio e opportunità per creare i loro progetti. Se avessi un peso politico, oggi, finanzierei start-up con la visione di riportare in vita tutto quello che abbiamo lasciato a terra: le idee imprenditoriali che hanno fatto la nostra storia, il sapere artigianale, le idee che rendono noi Italiani unici al mondo. Promuoverei il nostro modo di essere unici, riportando a galla il mondo dei laboratori per tornare a sporcarsi le mani e metterle in pasta. In una parola, riscoprire l’arte. E a esser sincero, sono molto ottimista su quello che accadrà.

 


03/03/2023


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