How it's made

Stampare il nero

Il nero è un enigma, un colore non-colore sempre amatissimo e potentemente comunicativo. Ma tutt’altro che facile da ottenere e riprodurre.

Di Lorenzo Capitani | su PRINT 69 

Guardate la foto qui. Qual è il colore dominante? Un po’ sbiadito, direte, ma senz’altro il rosso. Sicuri? Perché a guardarla ben avrete una bella sorpresa: di rosso non c’è traccia. E le fragole? Disegnate dal cyan, solo cyan. È il vostro cervello che, sapendo che le fragole sono rosse, completa l’informazione e le “colora”.
Un po’ come succedeva con la famosa fotografia del vestito bianco e oro diventata virale sul web nel 2015. O ancora nella scacchiera di Edward H. Adelson che più di tutto mostra come i colori ingannino, perché il nostro cervello crea quel che non c’è. Anche il nero, che tra tutti è il più infido.

Colore non-colore, somma di tutti e mai assoluto, il nero, nonostante le mode, è sempre molto amato da tutti, designer, creativi e grafici compresi, per il senso di esclusività, di raffinatezza che evoca soprattutto nel settore luxury. È sensuale ed enigmatico, neutro e insieme potentemente comunicativo. Ma non è affatto una tinta facile. Già in natura, paradossalmente, il nero assoluto, quello che assorbe totalmente la luce, a parte i buchi neri, non esiste! La cosa più nera mai ottenuta dall’uomo è il Vantablack, un composto di nanostrutture di carbonio, sviluppata nel 2014 in Inghilterra in grado di assorbire il 99% della luce. E se è impossibile produrre il nero assoluto in fantascientifici laboratori di nanotecnologia, figurarsi in sala stampa!

C’È NERO E NERO
Il modo più naturale per ottenere il nero in stampa è utilizzare l’inchiostro nero di cromia, ottimo per i testi (a patto che non siano eccessivamente condensed) ma non certamente sufficiente in termini di coprenza quando si tratta di ampie superfici o di lavori in cui la qualità è indispensabile. Questo inchiostro, infatti, sia pure a densità massima, da solo appare slavato, quasi grigio, soprattutto se la carta tende ad assorbire. Per questo si ricorre a un secondo colore di rinforzo o si sfruttano tutti gli altri 3 inchiostri creando il cosiddetto “nero ricco”. Tutto dipende dalla macchina che abbiamo a disposizione, dal tipo di lavoro che stiamo stampando e dal budget. Nel primo caso, a patto di sacrificare la neutralità, si arricchisce il nero con un letto di 50% ciano sotto che darà un aspetto impercettibilmente più freddo, o con un 60% di rosso che renderà un nero più caldo, con il 60% giallo, invece, si avrà una sfumatura dorata. Lo conferma Gabriella Moretti, Marketing & Business manager di Nava Press e Rotolito Lombarda: «Il nero è un colore molto difficile da riprodurre, non è un colore esistente in natura ed è quindi impossibile avere una regola certa di riferimento. Lo stampi, poi lo guardi e invece di un nero pieno può risultare un grigio scuro. Per avere il nero desiderato (Cool Black, Warm Black e Rich Black) vanno aggiunti altri colori in percentuali differenti in base al nero che si vuole ottenere. Ma le macchine da stampa e la composizione degli inchiostri sono molto diverse tra di loro e quindi l’esperienza degli operatori di stampa e di pre-stampa è fondamentale per arrivare a raggiungere il nero desiderato dal cliente».

Il nero ricco invece si può ottenere con diverse combinazioni e ciascun grafico ha le sue. Le più usate sono C30 M30 Y40 K100 o ancora o C50 M30 Y30 K100: poco cambia, attenzione solo a non esagerare con la copertura degli inchiostri che, sommati, non dovrebbe superare il 310%. Certamente un nero così fatto apparirà pieno e uniforme, ma il registro? Non usatelo assolutamente per testi o filetti fini. Esiste tuttavia un escamotage: usare un pantone nero, più pieno del black process, che può essere stampato singolo o doppio, evitando così anche i capperi. Esistono diversi pantoni neri: basta una ricerca sullo store online di Pantone™, digitando “black”, compaiono ben 39 colori!  Anche se i neri puri sono il Pantone™ Black 2, 3, 4, 5, 6 e 7. Insomma, più che di “nero” bisognerebbe parlare di “neri”, non solo di stampa, ma anche nei programmi di grafica o impaginazione. In Photoshop ad esempio il nero nativo è composto da C86 M85 Y79 K100, diverso dal nero nativo di InDesign o Illustrator che è fatto dal solo black. Inoltre, ricordate che ciò che vedete a monitor non è ciò che stamperete; per aiutarvi nella suite Adobe è possibile impostare che il nero di quadricromia, il K100, appaia come un grigio, mentre il nero ricco di quadricromia sia nero.

BUCO NERO
Restando nel campo dell’offset, stampare il nero nasconde sempre qualche insidia soprattutto per le sue interazioni con gli altri colori. Capita spesso di vedere fondini o testi a corpi importanti stampati in nero con sotto immagini ben visibili in trasparenza. Ce ne si accorge anche a video, mentre si impagina, a patto di lasciare attivata la simulazione della sovrastampa. Il solo inchiostro nero, per quanto carico, come si diceva, non ce la fa a coprire completamente il retino sottostante degli altri colori. Il nero ricco aiuta, ma quando non si può usare, è possibile aggirare le impostazioni dei programmi di grafica, impostando il nero solo in quel punto in foratura e non in sovrastampa, in modo che “buchi” tutto ciò che vi è sotto. Attenzione però che spesso nella creazione del pdf o in fase di ripping, non si ripristini la situazione iniziale.
Un’ultima avvertenza: non usate mai il cosiddetto “nero di registrazione” (C100 M100 Y100 K100): pre-stampa e stampatori vi ringrazieranno. Si tratta, infatti, di un colore particolare ottenuto dalla percentuale massima di ciascun colore e serve solo ed esclusivamente per i crocini di taglio e registro posti fuori dal vivo della pagina.

NERO SU NERO
Anche solo con la cromia di stampa si può giocare con i neri: immaginiamo un fondino nero con un testo… nero. Si buca il testo in ciano, magenta e giallo e si sovrastampa il nero. Il risultato è un fondo nero pieno nel quale spicca il testo. Una versione low cost di verniciatura. Ma il nero dà il suo meglio soprattutto se verniciato o plastificato. In particolare, senza aggiungere nessun altro colore, rendendolo lucido, opaco o giocando con il loro contrasto. La via più semplice è la verniciatura che può essere fatta in linea, da spalmatore a tavola piena o con vernice grassa stendendo prima l’opaca e poi la lucida che rifiutando nelle zone “verniciate” esalta i dettagli. Ma la scelta migliore, soprattutto se il nero deve essere lucido, è la vernciatura UV che lacca perfettamente, rendendolo luminosissimo. Anche la plastifica, se l’esigenza è la tavola piena, dà i suoi risultati. Costa meno, protegge lo stampato e consente ulteriori nobilitazioni (sull’UV lucido non aggrappa quasi più nulla). Se l’effetto deve essere prezioso meglio una plastifica acetata. Attenzione solo ai graffi e alle ditate più evidenti se la finitura è opaca.
Parlando di contrasti, invece, l’accoppiata più che collaudata è plastifica opaca e verniciatura UV a registro. Perfetta per esaltare testi, texture, loghi o fregi. Nonostante il tono su tono, infatti, il nero opaco crea una base neutra per esaltare le parti lucide. È possibile dare enfasi usando vernici serigrafiche ad alto spessore o sbalzi che alzano ulteriormente il grafismo e lo rendono maggiormente evidente. Questo tipo di serigrafia può essere ottenuta anche in digitale: grazie al Digital Embossing si sfrutta la stampa digitale a inchiostri polimerici ad alto spessore e a rapida essiccatura con il quale è possibile riprodurre grafismi, anche molto raffinati, arrivando a 250 micro. I risultati sono spettacolari e uniscono l’effetto tattile a quello visivo della lucentezza.

SUPPORTI NERI
Se non si vuole stampare è sempre possibile usare un supporto nero, carta o plastica che sia. In questo caso la scelta di supporti è davvero vasta potendo spaziare dalle serie di Fedrigoni come la Sirio Black, la Ispra o la pergamenata Golden Star K, fino alla Burano di Favini, solo per citarne alcune. In questo caso è la nobilitazione a fare la differenza. Ma la carta nera può essere un ottimo substrato per la stampa, anche digitale.

La Sirio, tra l’altro, è stato il primo cartoncino ad aver ottenuto la certificazione di HP per le sue Indigo. Ma anche per vernici serigrafiche e stampe a caldo, i cui nastri oro e argento, ad esempio, non possono non spiccare. «Attenzione però — avverte Fabio Villa, project manager di Nava Press — a utilizzare foil metallici senza isolarli debitamente da carte o cartoncini neri, perché alcuni contengono carbone che, a contatto con le lamine metalliche, possono ossidarle (marezzando il nastro, nrd); per questo è consigliato isolare il film metallico dal supporto con un passaggio di stampa a caldo con un film trasparente o verniciando il supporto.» 

Un’ulteriore accortezza, se si decide di stampare su carta nera, è quella di prevedere un quinto colore bianco ad alta coprenza che faccia da letto alle immagini, soprattutto se molto colorate; in questo caso, aggiunge sempre Villa, «meglio farlo in serigrafia oppure, se si vuole fare in linea, un solo passaggio di bianco può non bastare, ed è consigliabile prevedere un “letto” di 2/3 bianchi». Si sa che i colori visti su un fondo scuro appaiono più squillanti, più contrastati. Effetto che può essere estremizzato usando per esempio una carta come la bipatinata Splendorlux Color, già nera e ad alto lucido da cartiera. Meno critica è invece la serigrafia su carta nera che usa inchiostri più densi dell’offset. Infatti, conclude Villa, «la serigrafia vinilica è certamente la strada più consigliata per ottenere un colore pieno e su un fondo scuro, mentre se si vuole ottenere un colore brillante, anche in serigrafia è consigliato un letto bianco di sostegno prima della stampa del secondo passaggio nel colore desiderato. Le carte nere, soprattutto le usomano, sono molto delicate, quindi verniciarle è sempre un’opzione da prendere in considerazione; chiaramente, così facendo, si potrebbe perdere il nero intenso del supporto stesso, ma di certo si ha un prodotto meno “esposto” ai graffi».

IL NERO IN DIGITALE
In generale, nonostante il digitale sia in tutto e per tutto una valida alternativa, il nero stampato in offset è spesso di qualità migliore di quello digitale, soprattutto per l’effetto traslucido che assume sulle superfici ampie dato dalle cere. Ma la tecnologia digitale ha dei vantaggi: «Innanzi tutto — spiega ancora Gabriella Moretti — data la difficoltà di ottenere un buon risultato e la necessità di fare molte prove prima di andare in tiratura, il digitale si presenta più flessibile».
Ma la differenza la fa la tecnologia: con macchine come l’HP Indigo i risultati sono paragonabili a quello alla stampa tradizionale, anzi migliore «perché non c’è lo schiacciamento tipico invece dell’offset» chiarisce Moretti. A tal proposito, spiega Fabio Galimberti, Solution Architect HP: «La stampa del nero in digitale con tecnologia Indigo non è un problema: oggi normalmente vengono costruiti dei neri di rinforzo (CMYK) per ottenere una ottima coprenza; laddove il canale del nero è composto da K100 si può stampare più volte il colore (da 2 a 16 volte), oppure si può decidere di ribattere (ristampare) solo il 100%, in modo tale da non variare la cromia o ristampare tutto il canale 100% più il retino». Per ridurre l’effetto di nero chiuso che il digitale dà soprattutto nelle ombre e nei bianchi e neri molto scuri, si può intervenire in diversi modi, sia in fase di ripping che sulle proprietà del lavoro.

Sempre Galimberti spiega: «Sui font si può aumentare o diminuire la quantità di inchiostro, sulle immagini si può usare l’opzione sharpening per dare più dettaglio o lo smut per avere ombre più morbide. Per chi invece vuole una stampa bianco e nero di qualità, senza dominanti, la soluzione è quella di lavorare in bicromia accoppiando il nero a un secondo canale di nero light». Si tratta di applicare la tecnica del Duotone al lavoro destinato al digitale con l’accortezza di non saturare troppo il canale pieno; non solo: Galimberti chiude ricordando come la vasta gamma di inchiostri Indigo permette anche ai clienti più esigente di trovare il “loro” nero, usando una qualsiasi tinta molto scura oppure perfino facendosi costruire un inchiostro personalizzato, mentre per la stampa su supporti neri l’accortezza è quella consueta di creare un letto con l’apposito inchiostro bianco.

ALTRI NERI
Tra le tante tecniche di riproduzione del nero ce ne sono due meno usate, ma che danno sempre degli effetti interessanti. La stampa a caldo con nastro nero e la vernice effetto lavagna. Nel primo caso non parliamo di abbinare al nero di stampato o della carta uno dei tanti nastri pastello o metallici disponibili dove di solito il tutto si gioca sul contrasto con il nero del fondo. Bensì di usare un nastro per stampa a caldo di colore nero con cui sovrastampare. Anche di questi, ovviamente, ne esistono di diversi tipi di Kurz o Luxoro, come il pastello o il metallizzato, e diverse finiture – lucida, opaca o cangiante – che possono adattarsi alle diverse esigenze creative. Utilizzi interessanti di questi nastri, soprattutto se impressi ad alta pressione (quasi un debossing), sono in accoppiata con tele di legatoria come Skivertex, Xian o Sharade di Fontana Grafica, cartoncini goffrati monopatinati con effetti particolari come legno, lizard, galuchat, armadillo, buccia di arancio, come la Splendorlux E o il Wintan ancora di Fontana Grafica. In questi casi la preziosità del supporto dà un sicuro effetto luxury allo stampato o al packaging.

Infine, l’effetto lavagna regala un inconsueto effetto tattile, ruvido quasi materico, oltre al curioso risvolto della possibilità di scrivere con il gesso sullo stampato. Nulla di nuovo ovviamente. Si tratta di applicare la stessa tecnica che si usa per le lavagnette. Il segreto, ovviamente, è tutto nell’inchiostro vinilico utilizzato con tecnica serigrafica, che ha ottima coprenza anche su superfici ampie, ottima resistenza all’abrasione e alla torsione – per reggere cordonature e pieghe –, all’alcol e all’acqua, ed è resistente anche agli agenti atmosferici.

 


01/12/2017


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