Tendenze

Si fa presto a dire caffè

Ogni giorno nel mondo vengono bevuti due miliardi di tazze di caffè: tra il chicco e la tazzina c’è un mondo pieno di variabili. Il mercato del caffè sta sperimentando un grande fermento, e ogni modo di consumare la bevanda arriva con i propri trend di design ed esigenze specifiche in termini di materiali e stampa. Ne abbiamo parlato con Gruppo Goglio, ArteficeGroup, la roastery Garage Coffee Bros e due AD con progetti in gara al Coffee Design Awards.

di Roberta Ragona | su PRINTlovers 94

Dal tradizionale espresso all’italiana fino ai caffè filtrati, i cold brew e i caffè in capsule: dietro una tazza caffè si nasconde un mondo di preparazioni differenti. Due miliardi di tazze ogni giorno è la stima della British Coffee Association: un mercato in espansione, incentivato dai cambiamenti della società e dall’allargarsi della platea di consumatori. L’innovazione sul prodotto fa il paio con l’evoluzione dei metodi di comunicazione, per raggiungere audience molto diverse. Abbiamo approfittato dei Coffee Design Awards all’interno di World Of Coffee 2022 per parlare con esperti di packaging, roastery, designer e agenzie di comunicazione su cosa è cambiato nel modo di produrre, bere e comunicare il caffè. La prima rivoluzione riguarda le modalità di consumo, e con essa i formati di packaging. Nel consumo domestico in Italia domina ancora il caffè per moka, seguito dalle capsule, diventate in breve tempo un’abitudine tanto negli uffici che nelle case. È la modalità definita funzionale: una bevanda che scandisce una pausa veloce, all’insegna della praticità, per recuperare lucidità ed energia. Negli ultimi anni, tuttavia, è emerso un nuovo pubblico, il cui consumo di caffè è diversificato e comprende preparazioni comuni ad altri paesi. Una rivoluzione iniziata con l’apprezzamento per il caffè filtrato in stile americano, che ha reintrodotto il tempo tra gli ingredienti fondamentali dell’esperienza. Non più una veloce parentesi ma una bevanda con tempi più lunghi: da lì la strada si è aperta alla french press, al rito del fika svedese, passando per il cezve turco sino al cold brew. Questo pubblico è in realtà una molteplicità di pubblici, che potremmo dividere in due segmenti principali legati all’età: da una parte i più giovani, attori di un consumo fuori casa modello Starbucks, interessati a lavorazioni fantasiose e aromatizzate. Dall’altra un pubblico adulto, a cui si rivolge il mercato degli specialty coffee. Un settore, quest’ultimo, che ha molte affinità con l’enogastronomia: prodotti di alta qualità, spesso mono-origine, con modalità di preparazione articolate ed esperienze di degustazione. Un consumo più consapevole in cui la ritualità è parte integrante del piacere.

I materiali coffee-friendly, dal sottovuoto alle capsule
Se i pubblici di riferimento non potrebbero essere più diversi, le necessità che accomunano i produttori sono le stesse: un packaging che mantenga integre le caratteristiche del prodotto, con un occhio alla sicurezza e uno alla sostenibilità, come fa notare Davide Jarach, responsabile Sviluppo Strategico del Gruppo Goglio e presidente di Goglio Tianjin Packaging: «C’è ancora una domanda concentrata sui materiali che potremmo definire “tradizionali”, come il triplice accoppiato con alluminio ad effetto barriera, ma come in altri settori c’è una richiesta crescente di materiali dal fine vita più semplice. Nel caso dei macinati sottovuoto questo significa materiali monopolimero, che mantengano inalterate le proprietà barriera eliminando l’alluminio. L’approccio sistemico è fondamentale, consente di integrare i materiali nuovi nella lavorazione senza dover modificare i macchinari e la filiera produttiva, con un vantaggio in termini di efficienza energetica e logistica».

Il tema della shelf-life è il terreno su cui si gioca la battaglia dei materiali, come rileva Adriano Rosso, Art Director e Graphic Designer, il cui progetto per Bazzara Bioarabica era in concorso al Coffee Design Awards: «Anche il sacchetto Bioarabica per ora è in classico triplice accoppiato, ma credo che il futuro siano le confezioni monomateriale in polietilene o quelle composte da laminato poliolefinico, ottenuto accoppiando una struttura di polipropilene e una di polietilene. I brand investono molto sulla costanza qualitativa e questo si riflette anche sui materiali, che devono essere in grado di mantenere intatte le proprietà di freschezza anche in situazioni critiche di umidità e calore».

Nell’ambito degli specialty, i cui volumi sono più bassi, c’è la possibilità di sperimentare con materiali diversi, come ci chiarisce Elisabetta D’Affara, Graphic Designer e Art Director, anche lei in concorso ai Coffee Design Awards con il packaging per il caffè di Garage Coffee Bros: «C’è molta ricerca sui polimeri per sviluppare soluzioni più leggere a parità di tenuta, quindi con minore impronta energetica. In parallelo c’è un incremento di materiali con una componente importante di carta, tale da permettere il conferimento con la raccolta di carta e cartone, e di accoppiati in carta e plastica che siano facilmente separabili in fase di smaltimento. Soprattutto per un prodotto come gli specialty, non perdere in qualità col passare del tempo è essenziale, e la carta in questo momento si presta di più a utilizzi di breve durata, come l’acquisto di sfuso in torrefazione da trasferire dentro i contenitori di casa. Proprio in questo ambito c’è un segnale abbastanza interessante di ritorno a contenitori riutilizzabili – ad esempio in alluminio – da riempire nel punto vendita o tramite vuoto a rendere».

La vera differenza nelle preferenze di formato non è tra grandi brand e specialty, rileva Davide Jarach: «La divaricazione sulla scelta di formato e supporti è tra prodotti destinati al mercato italiano o straniero. Nel nostro paese ha una grande presa la confezione sottovuoto, mentre all’estero è più comune il formato soft con valvola. La decisione dei leader di mercato di non abbandonare la classica “mattonella” ha portato gli altri player ad allinearsi per competere nella grande distribuzione. Dall’altra c’è la logistica: è semplice da gestire in termini di stoccaggio. Influisce anche la modalità di acquisto: in Italia il macinato è ancora preponderante, mentre ovviamente per il caffè in grani la confezione sottovuoto non sarebbe adatta, perché le forme irregolari dei chicchi potrebbero intaccare l’integrità della confezione mettendo a rischio la freschezza del prodotto».

Sulla scelta del formato e come si presenta a scaffale influisce anche una mancanza di informazioni da parte del consumatore su come avviene la torrefazione. Ci spiega meglio Davide Cobelli: «Nella produzione industriale il caffè viene tostato, e successivamente lasciato degassare perché disperda i gas prodotti durante la tostatura. Una parte di gas rimane comunque all’interno dei chicchi, per cui vengono spezzati in fasi successive per farlo fuoriuscire completamente. Questo perché il consumatore è abituato a pensare che un alimento dalla confezione gonfia sia il segnale che qualcosa non va, il che è vero per altri prodotti alimentari, ma non per il caffè tostato, anzi. Questo è un problema di informazione. Noi per i nostri caffè macinati utilizziamo il sottovuoto con l’azoto per migliorare il mantenimento della freschezza, ma comunque ci rivolgiamo a una clientela a cui proponiamo una shelf life di prodotto molto più breve, che consenta di apprezzare maggiormente le caratteristiche aromatiche delle miscele».

Accanto al classico macinato sottovuoto si sono ritagliate uno spazio rilevante le capsule, vere protagoniste della comunicazione nel mondo del caffè di questi anni. Sempre Davide Jarach: «Le capsule in alluminio per ora hanno un grande vantaggio per il mass market, una shelf life molto lunga. Noi siamo dell’idea che le capsule siano uno dei prodotti in cui il lavoro sulla compostabilità del packaging è fondamentale. Il fatto che non sia necessario separare il prodotto dal contenitore semplifica lo smaltimento e riduce di molto la percentuale di rifiuti prodotti».

Un mercato in cui a guidare sono le scelte del player principale del sistema a capsule, commenta Tiziano Saitta, Creative Director di ArteficeGroup: «Guida la compatibilità con sistema più diffuso: anche i brand che hanno un proprio sistema di capsule hanno sempre una gamma di capsule compatibili. Sull’aspetto dei materiali uno degli ambiti in cui c’è maggiore spazio per la ricerca di design è il problema dell’overpackaging: gli anni appena trascorsi hanno modificato la percezione degli imballaggi, per cui il consumatore – specie in merito ai prodotti alimentari – cerca una rassicurazione sulla sicurezza. Dall’altra c’è spazio per lavorare sull’uso efficiente dello spazio, con meno vuoti, sulla riduzione del packaging secondario e la scelta di materiali più leggeri, che significa una logistica più efficiente». 

Una stampa per tutte le tirature
Sul fronte delle tecnologie di stampa, il segnale più evidente riguarda le tirature. Adriano Rosso rileva come in questo ambito gli interessi di mass market e specialty tendano a convergere: «Anche se la stampa rotocalco rimane di alto livello qualitativo e ideale per le grandi tirature, la stampa digitale soddisfa sempre più le necessità di entrambi. La stampa just-in-time riduce la necessità di grandi scorte, e per una micro roastery la possibilità di partire da basse tirature – a volte anche poche decine di pezzi – con tempi di lavorazione e consegna rapidissimi è fondamentale. I player mainstream stanno percorrendo una strada simile, ossia il versioning: maggior numero di referenze, tirature più piccole, pronte a reagire velocemente ai cambiamenti della domanda e generare acquisti d’impulso».

Davide Cobelli spiega come queste microtirature per gli specialty abbiano a che fare con le piccole quantità di una materia prima di altissima gamma: «Nel caso delle qualità più pregiate è possibile che l’approvvigionamento possa essere anche solo uno o due sacchi, che lavorati possono diventare non più di 400 pacchetti: per questo è importante che le tirature siano commisurate alla quantità effettiva del prodotto e ai suoi cicli di stagionalità. Questo vale anche per gli altri materiali di comunicazione che li accompagnano, come ad esempio le cartoline – anche queste in carta riciclata – che raccontano e approfondiscono le caratteristiche delle diverse qualità di caffè».

Per quello che riguarda le tecnologie di stampa si sta assistendo, più che a una sostituzione da parte della stampa digitale, a un affiancamento delle due tecnologie. Commenta Elisabetta D’Affara: «Per gli specialty la stampa digitale è il mezzo di elezione. Diventa particolarmente interessante quando si lavora con le nobilitazioni: verniciature, laminazione a caldo o a freddo ormai si possono fare in digitale, aprendo un ventaglio di effetti materici che trasmettono qualità anche con tirature ridotte».

Il linguaggio (anche smart) del caffè
Se sul tema della sicurezza alimentare e della stampa le necessità si somigliano, è sul design che le audience differenti portano a stili di comunicazione e ispirazioni radicalmente differenti. Tiziano Saitta sottolinea come la comunicazione del caffè si fondi spesso su uno storytelling che segue il consumatore nelle proprie abitudini: «Il caffè è un prodotto che si comunica, si vende e si acquista in base a una forte componente di emozionalità. Nel mercato mass market è considerato soprattutto come una commodity, con un racconto che non è basato tanto sulle caratteristiche organolettiche quanto sulla fedeltà del consumatore al brand. Laddove prima l’accento era sulla morbidezza o sulla cremosità della bevanda, adesso è sul fatto di portare le proprie abitudini, magari ereditate dai consumi di famiglia, anche nel nuovo sistema con le capsule. Questo si riflette anche nelle scelte di design, che tendono a rifarsi a un linguaggio molto consolidato».

Il cambio delle abitudini non si riverbera solo sul packaging, ma anche su altri aspetti di comunicazione stampata in cui si declina l’immagine di un brand. Nel caso del caffè, questo significa un supporto in particolare: le tazzine. «Per anni la tazzina di caffè ha identificato la comunicazione di brand – pensiamo a Illy, che sulla riconoscibilità delle proprie tazzine ha costruito un’immagine di marca e un sistema narrativo, legandosi anche al mondo dell’arte e del design; o a Borbone e il bicchierino di vetro che si legava all’idea della tradizione napoletana – creando un parallelismo tra l’esperienza a casa e al bar».
Il discorso cambia quando si guarda invece al mercato specialty, come ci conferma Elisabetta D’Affara: «Anche per la relativa giovinezza del mercato, la comunicazione è una tela bianca su cui sperimentare un linguaggio visivo meno legato alle consuetudini e più vicino a quello del design grafico d’arte, colorato, espressivo, con forte uso di forme forti, font tipografici insoliti e un linguaggio fresco e ironico. C’è grande sensibilità nei confronti dell’immagine visiva, che sta andando nella direzione in cui per tanti anni ha lavorato la comunicazione dei vini: trasmettere tramite scelte di design, materiali e supporti l’eccellenza delle materie prime. Nel lavoro con Garage Coffee Bros l’ispirazione è venuta dai tessuti tipici delle diverse zone di produzione delle diverse qualità, da cui ricavare dei pattern grafici per rappresentare il paese di provenienza. Abbiamo utilizzato il colore per identificare i profili di sapore utilizzando le associazioni tra sapori e colori, lavorando a contrasto per una risultante cromatica forte e vivace. Attorno a questi elementi di design era importante comunicare in maniera chiara l’impegno sulla sostenibilità. Abbiamo sfruttato la possibilità di usare le etichette per caratterizzare referenze di prodotto diverse con un pack di base che fosse sempre lo stesso, con l’ulteriore vantaggio di essere semplici da separare al momento del riciclo. Il packaging flessibile è in polipropilene mentre le etichette sono in carta certificata FSC».

Per incentivare l’abitudine a separare gli imballi Garage Coffee Bros ha ideato un’attività di comunicazione ad hoc, come ci racconta Davide Cobelli: «Abbiamo sfruttato la possibilità di usare le etichette per caratterizzare referenze di prodotto diverse, con un pack di base che fosse sempre lo stesso. L’ulteriore vantaggio è che sono semplici da separare al momento del riciclo. Per incentivare l’abitudine a staccare le etichette abbiamo creato un album da collezione al cui completamento il consumatore riceve in regalo l’adozione di un albero di caffè in Ecuador».

Secondo Adriano Rosso alcune macrotendenze sono destinate a durare: «La scelta di proposte grafiche minimaliste corrisponde a esigenze di mercato ben radicate, abbinate a un altro trend consolidato nella comunicazione del comparto alimentare: lo stile retrò. Il cibo si presta bene all’abbinamento con la dimensione ludica, per questo – anche in risposta alle difficoltà degli ultimi anni – penso che continueranno a essere molto presenti le illustrazioni ricche di colori vivaci, personaggi divertenti e pattern irriverenti. Nel caso della linea Bioarabiche, l’esigenza era di intercettare un cliente abituato a consumi etici e consapevoli. Il design richiama aspetti tradizionali del caffè riproposti in chiave moderna, come i caratteri stencil del logotipo che evocano quelli utilizzati sui sacchi di juta per trasportare i chicchi o i barili di quercia che contengono il Jamaica Blue Mountain, e i tratti minimali che ricreano foglie e drupe della pianta del caffè. Attraverso l’uso di testi, icone e grafici si è cercato di rendere accessibile una conoscenza del varietale più approfondita».

Questo lavoro di educazione del cliente sarà sempre più importante anche nelle grandi marche, per rispondere a gusti sempre più specifici: «Il dato sulla crescita degli acquisti online ha fatto sì che anche brand consolidati abbiano iniziato a rivedere la loro immagine per spiccare sui vari marketplace. Un mutamento che si è tradotto col moltiplicarsi dei prodotti in piccoli formati, in buste stand-up che in passato si vedevano più negli Stati Uniti che in Europa. Nella media i consumatori italiani – pur considerando irrinunciabile il caffè – non hanno una conoscenza specifica della bevanda, anche a causa di un’uniformità di linguaggio, carente nell’offrire informazioni sul prodotto. Le confezioni si arricchiranno di icone con informazioni su aroma, gusto e sul processo di trasformazione ideale della miscela. Ci sarà una maggiore attenzione a diffondere attraverso il packaging la cultura del caffè di qualità».
E come per altri prodotti rinomati del mercato agroalimentare, anche per il caffè sarà sempre più comune vedere in uso tecnologie anticontraffazione e strumenti smart, come nota Davide Jarach: «Abbiamo notato l’introduzione dei QR code, utilizzati in maniera molto varia, sia per raccontare più nel dettaglio la storia del prodotto, sia per valorizzare le caratteristiche dei caffè mono-origine o per dare maggior risalto a pratiche produttive sostenibili in termini di ambiente e lavoratori. Nei casi dei prodotti di alta gamma l’inserimento di sistemi anticontraffazione comincia a essere richiesto, un fenomeno simile a quello che ha interessato il mercato del vino o di altre eccellenze gastronomiche italiane».

Insomma, quando domani vi accingerete a bere il primo caffè della giornata, non lo guarderete più con gli stessi occhi. Nel consumo domestico in Italia domina ancora il caffè per moka, seguito dalle capsule, diventate in breve tempo un’abitudine tanto negli uffici che nelle case.

 


16/12/2022


Tendenze