Di Paola Carbone | su PRINTlovers 106
Definire il packaging flessibile, in apparenza, è facile: un involucro leggero, un film sottile che avvolge, protegge e preserva. Ma come spesso accade, la vera complessità sta nei dettagli. Sta nell’incontro virtuoso tra la scienza dei materiali e l’arte della comunicazione. Oggi l’innovazione nasce da un incontro tra funzionalità, economia, estetica ma anche responsabilità ambientale.
Si tratta di un settore in perenne movimento, guidato da una doppia urgenza. Da un lato, la necessità di garantire prestazioni impeccabili spesso determinate da normative severe – barriere contro l’ossigeno, l’umidità, la luce – e dall’altro, l’imperativo di farlo riducendo l’impatto sul pianeta. I materiali, in questo contesto, sono i protagonisti di una transizione indispensabile. Parliamo di carta, polimeri plastici e alluminio, combinati in stratificazioni complesse o ripensati in soluzioni più semplici e virtuose.
La tendenza, sempre più marcata, è quella di abbandonare gli accoppiamenti eterogenei a favore dei monomateriali, più facili da riciclare. E anche di sintetizzare nuovi biopolimeri altrettanto efficaci dei tradizionali.
Poliolefine: gli architetti del packaging flessibile
Se osservassimo un film di plastica sotto una lente molecolare, ci troveremmo di fronte a una struttura ordinata di catene polimeriche che si ripetono con precisione quasi matematica. Queste catene, composte da piccole unità, dette monomeri, sono caratterizzati da legami covalenti tipici del carbonio. È questo che dà ai materiali caratteristiche chimico-fisiche uniche e straordinarie. Le proprietà che ne derivano sono dunque il risultato diretto della disposizione degli atomi e delle interazioni intermolecolari.
Tra i materiali polimerici, le poliolefine – polipropilene (PP) e polietilene (PE) – si sono affermate come protagoniste indiscusse del packaging flessibile. A livello produttivo, le poliolefine sono ottenute con l’uso di catalizzatori che rendono possibile le reazioni chimiche e possono anche regolare con precisione la struttura del polimero, influenzando il modo in cui le catene si dispongono nello spazio. Frutto di una reazione chimica guidata o di processi meccanici, l’orientamento degli atomi produce caratteristiche specifiche nel materiale. Polimeri versatili, leggeri ma resistenti, capaci di adattarsi a ogni esigenza del packaging moderno, dai film barriera per medicale alle buste stand-up per alimenti. Si piegano senza spezzarsi, proteggono senza appesantire e si trasformano in film sottilissimi, pronti a diventare barriera contro ossigeno e umidità. In forma viscosa e morbida, possono essere applicati come coating funzionali attraverso estrusione o coestrusione, migliorando la protezione del prodotto senza compromettere la riciclabilità dell’imballaggio.
La loro versatilità emerge anche nelle applicazioni multilayer, dove il packaging flessibile diventa un sistema ingegnerizzato per garantire la protezione ottimale di alimenti e farmaci. Sono stratificazioni complesse, ottenute mediante tecniche di laminazione o coestrusione multistrato utilizzate per proteggere dall’ossigeno, dall’umidità o da composti volatili. I materiali sono combinati per massimizzare le performance. Il PET possiede rigidità e resistenza meccanica, il nylon riduce la permeabilità ai gas, il PE garantisce la sigillatura termica. Queste architetture polimeriche consentono di mantenere inalterate le proprietà organolettiche di un caffè o di prolungare la stabilità di un principio attivo farmaceutico nel tempo. Tuttavia, la complessità di queste strutture porta con sé una criticità: sono difficili da separare e riciclare. I materiali accoppiati con adesivi poliuretanici o colle termoindurenti formano legami quasi indissolubili, e rendono problematica la rigenerazione dei diversi componenti. Per questo motivo, la ricerca si sta orientando verso alternative più sostenibili.
Monomateriale e bioplastiche: complessa semplicità
Il monomateriale può essere una scelta dettata dalla sostenibilità. Ma molti brand owner si orientano su packaging a un solo strato anche per ottimizzare sia costi dei materiali che dei processi produttivi.
Una confezione di patatine è fatta di una stratificazione di PET, alluminio e polietilene saldati insieme. Oggi, grazie a poliolefine modificate con nanotecnologie o coating innovativi, quell’involucro può essere realizzato con un unico materiale, ugualmente performante ma infinitamente più riciclabile. Perché il film che lo realizza combina la flessibilità di materiali come PE e PP con barriere all’ossigeno ottenute attraverso la modificazione delle strutture molecolari o con degli additivi. In Europa il 30% dei nuovi progetti di packaging flessibile punta a soluzioni monomateriale.
La via della sostenibilità, economica e ambientale, passa anche attraverso la creazione di nuovi materiali plastici a base vegetale. Il PLA (bioplastica ottenuta a partire da derivati del mais) era considerata instabile nel tempo e permeabile all’ossigeno. Ma con gli additivi ingegnerizzati o le nanotecnologie usate nel coating dei film, le prestazioni delle bioplastiche hanno raggiunto e eguagliato quelle dei polimeri sintetici. Oggi la ricerca sta sintetizzando una quantità di bioplastiche quasi fatte su misura sulle esigenze del prodotto e dei requisiti richiesti alla sua protezione nel tempo. A partire da monomeri di origine vegetale, si stanno sviluppando polimeri in grado di replicare le prestazioni delle plastiche convenzionali, ma con un’impronta ambientale ridotta. La sintesi di questi materiali avviene attraverso processi di fermentazione microbica o polimerizzazione chimica di composti derivati da biomasse, modulando la loro struttura per ottenere barriere specifiche contro umidità, ossigeno e agenti esterni. L’introduzione di plasticizzanti bio-based e tecniche di reticolazione controllata permette inoltre di regolare la flessibilità e la resistenza meccanica, adattando il materiale a diverse applicazioni, dall’imballaggio alimentare ai film compostabili per uso industriale. Il risultato è una generazione di bioplastiche sempre più performanti, capaci di coniugare funzionalità e sostenibilità sia per l’origine non fossile delle materie prime che per la compatibilità ambientale anche come rifiuto.
Anche il regno della carta ha la sua barriera
Per alcune tipologie di prodotti la carta, con un sottilissimo strato funzionale di polimeri, può rappresentare un’alternativa sostenibile alle soluzioni plastiche tradizionali. Tra questi rientrano alimenti secchi come cereali, caffè, frutta secca, farina o zuppe liofilizzate, che richiedono una protezione efficace dall’umidità e dall’ossigeno per preservarne la freschezza e la conservabilità. Le carte barriera, sviluppate con specifiche formulazioni di coating polimerici, garantiscono le prestazioni richieste da queste categorie di prodotti, offrendo protezione senza compromettere la riciclabilità. Anche qui entra in gioco lo studio e la personalizzazione dei materiali, sia nella scelta della fibra cartaria – che può variare per porosità, resistenza meccanica e grado di raffinazione – sia nella formulazione del rivestimento polimerico. Quest’ultimo può essere applicato tramite tecniche di spalmatura, coestrusione o deposizione a base acquosa. La carta “normale” è porosa, quindi inadatta a fungere da barriera. Invece il coating polimerico protegge dalla migrazione di gas, umidità e grassi, divenendo determinante soprattutto nel caso di prodotti con una lunga shelf life. Un altro aspetto cruciale è la necessità di garantire la sigillabilità degli imballaggi durante il processo di confezionamento. In questi casi, il rivestimento polimerico fornisce una superficie ideale per la termosaldatura, rendendo possibile l’integrazione con linee di confezionamento automatizzate senza compromettere la sostenibilità del materiale. La carta, in quanto materiale rinnovabile e riciclabile è un’alternativa alle plastiche specialmente quando il packaging richiede una certa rigidità strutturale e un’estetica distintiva. Oltre alle sue prestazioni tecniche, questo materiale porta con sé un valore aggiunto legato alla percezione sensoriale e culturale: la tattilità, il calore visivo e la naturalezza della carta sono elementi che contribuiscono a creare un legame emotivo con il consumatore, un aspetto rilevante nelle strategie di branding.
Stampa: l’estetica del futuro è circolare
Se i materiali costituiscono la struttura fisica del packaging flessibile, la stampa ne rappresenta l’identità visiva e comunicativa. Proprio in questo ambito si gioca una delle sfide più complesse per la sostenibilità: come conciliare performance cromatiche di alto livello, fedeltà grafica e compatibilità ambientale senza compromettere efficienza produttiva e costi? La risposta sta emergendo attraverso l’evoluzione di tecnologie di stampa e degli inchiostri.
Nel settore degli inchiostri da stampa, la ricerca sta esplorando diverse strategie per migliorarne la sostenibilità, intervenendo su ogni componente della formulazione. Gli inchiostri, infatti, sono costituiti da pigmenti dispersi in un veicolo liquido, che può essere a base solvente, oleosa o acquosa. Un fronte di sviluppo riguarda il recupero e il riutilizzo dei solventi nei processi produttivi, riducendone la dispersione nell’ambiente, mentre per gli oli si privilegiano materie prime di origine rinnovabile, come soia e colza.
L’attenzione si concentra sempre più sugli inchiostri a base acqua, ormai in grado di offrire performance paragonabili a quelle delle formulazioni tradizionali, garantendo adesione, resistenza e brillantezza cromatica anche nelle applicazioni per packaging flessibile.
Il tema dei pigmenti è più complesso: sebbene alcuni colori sono ottenuti da fonti naturali o minerali, la maggior parte resta frutto di sintesi chimica. Per questo, un approccio efficace consiste nell’ottimizzarne l’impiego, riducendo la copertura senza compromettere la resa visiva.
Qui il design e la tecnologia giocano un ruolo strategico: grazie a software avanzati per la gestione del colore, è possibile limitare l’uso di inchiostri fino al 30-35%, con vantaggi che si riflettono sull’intero ciclo di vita del prodotto. Un minore deposito di pigmento non solo riduce il consumo di materia prima, ma semplifica anche i processi di disinchiostrazione. E rende il riciclo più efficiente e meno energivoro.
Sul fronte delle tecniche di stampa, le innovazioni non sembrano rivoluzionarie, ma il settore continua a evolversi in direzione di una maggiore efficienza. Per il packaging flessibile, il rotocalco e la flessografia restano le tecnologie di riferimento, grazie al loro equilibrio tra qualità di stampa, velocità di produzione e adattabilità ai diversi materiali. Tuttavia, l’ottimizzazione dei workflow sta diventando sempre più centrale. La ricerca punta su sistemi avanzati di gestione della produzione, con automazione dei processi, riduzione dei tempi di avviamento e minimizzazione degli scarti di materiale e inchiostro. Vengono perfezionate le fasi di produzione come la laminazione, il coating e la laccatura, con l’introduzione di soluzioni a basso impatto ambientale. Tutto questo si traduce in una riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO₂ lungo l’intero processo di stampa.
In questo scenario, il packaging flessibile, spesso percepito come emblema di un consumo effimero e inquinante, si sta trasformando in un vettore di cambiamento. Non più un rifiuto inevitabile, ma un punto di partenza per una rivoluzione che parte da un semplice gesto: ripensare un involucro. Perché oggi il lusso, il vero lusso, non può più prescindere dalla sostenibilità.
Grazie a:
Marco Scatto – Technology Transfer Expert Polymer Scientist
Nicola Tisi – Managing Director Sappi Europe, Sappi Papier Holding GmbH
Ingo Kaiser – Marketing Communications Specialist, Sappi Papier Holding GmbH