Inchieste e ispirazioni

Gin, l'alternativo

Ha una storia lunga almeno 8 secoli, avventurosa quanto immaginifica. Oggi il gin torna protagonista fra gli spirits grazie all’inventiva di distillatori e barman e all’energia creativa di packaging designer e art director: un successo corale e internazionale.
Ne abbiamo parlato con Paolo Insinga e Lindsey Jones di Interbrand, per poi fare un viaggio virtuale nel mondo delle distillerie italiane, dal Trentino alla Sardegna, che ci svelano i segreti dei loro preziosi packaging.


Di Marilde Motta | Su PRINTlovers 88

Il viaggio del gin (dal latino iuniperus, ovvero ginepro, suo ingrediente fondamentale) parte da Salerno. Il distillato nasce come “medicamento” nella Scuola Medica Salernitana dove, fin dal IX secolo, medici e speziali usavano le bacche di ginepro insieme ad altre varietà botaniche per scopo terapeutico. Poi qualcuno scoprì che la mistura non era niente male da bere in circostanze gioiose, o all’opposto perigliose. Nei Paesi Bassi e in Belgio, nel XVI secolo, oltre che a rincuorare in battaglia, il gin fu oggetto di rielaborazione per farne un prodotto autoctono, che da allora viene chiamato jenever e con questo nome è ancora oggi tutelato. Nell’epoca dei grandi traffici commerciali nelle rotte verso le Indie, il gin raggiunse lontani lidi. In Inghilterra questo aromatico super alcolico ebbe il suo apice di consumo nel ‘700, tanto da richiedere leggi che ne limitassero le libagioni, ma trovò anche ingegnosi funamboli della distillazione che diedero vita a “variazioni sul tema”: Plymouth gin, London gin, Old Tom. Nei primi del ‘900 il gin in USA fece alleanza con la letteratura e il cinema e la sua anima trasformista lo aiutò a rendersi indispensabile per i cocktail, iniziando una vertiginosa scalata verso l’high society. Compiuto il giro del mondo, il gin ora torna da dove era partito e, in Italia, c’è un fiorire di distillerie artigianali che lo stanno reinventando. Un risveglio di interesse che avviene parallelamente in altri Paesi, dove i progetti sono pervasi da grande creatività sia nella composizione del bouquet delle botaniche sia nel design delle bottiglie. Scompaiono vecchie idee su questo distillato a cominciare dal colore, non più solo crystal clear, ma anche rosa, giallo, azzurrino, verde, per proseguire con una combinazione sempre più ricca ed eterogenea di ingredienti, di accostamenti aromatichi, di sorprese per il palato.

Gin fra locale e globale
È uno dei distillati più diffusi al mondo, tanto radicato alle storiche origini geografiche quanto capace d’essere trasformista e persino irriverente verso la tradizione. Abbiamo chiesto a Paolo Insinga, executive creative director della sede italiana di Interbrand, di fare una panoramica delle principali tendenze nel total packaging design per il gin: «C’è stato un sostanziale cambiamento nell’arco dell’ultimo decennio, e le piccole distillerie artigianali hanno dato una spinta alla crescita del mercato del gin. In particolare in Italia, il packaging del gin è stato più libero da stilemi rispetto ad altri alcolici e ad altri Paesi che invece hanno una più lunga tradizione legata a questo distillato.
Il contenitore rappresenta una decisa rottura degli schemi, come nel caso dell’Engine gin dove si fa ricorso non solo a forme, ma anche a materiali presi da settori molto distanti. Concetti forti e la possibilità di sviluppare una narrazione attorno al prodotto sono cruciali, unitamente a una direzione artistica e realizzazione impeccabili». 
Lindsey Jones, executive director e client partnerships di Interbrand a Londra aggiunge: «Il gin ha una lunga storia e un presente molto creativo che si confronta con una molteplicità di varietà prodotto. La cura della componente botanica e degli altri ingredienti ne ha favorito l’affermazione e la preferenza da parte di un pubblico sempre più esteso. Lo storytelling ha contribuito, come nel caso del gin Hendricks, ad attrarre un pubblico più giovane. Monkey 47 ha altrettanto sconvolto i codici della tradizione presentando una scimmia in etichetta e sviluppando una comunicazione ironica e irriverente. Tanqueray si richiama invece alla tradizione e alla forma della propria bottiglia ispirata all’art déco, improntando la comunicazione su codici che evocano raffinatezza e fascino».
Jones si sofferma poi sulla varietà di prodotto e su come le identità si riflettano sul packaging: «Si potrebbero classificare i gin in tre aree: artigianali e con limitata produzione, quelli guidati dalle origini e quelli ispirati dall’aroma. La struttura del packaging e la grafica delle etichette interpretano queste tre classificazioni. Brooklyn gin è a produzione limitata, il messaggio che lancia è legato ad artigianalità e autenticità così la bottiglia in vetro ha una forma squadrata a cui si aggiunge un’etichetta in rame lavorato a sbalzo. La bottiglia di Ophir è all’opposto influenzata dall’aroma opulento con note speziate che riportano alla memoria l’Oriente e la via delle spezie. La componente aromatica del gin Bloom è decisamente floreale, così la bottiglia è slanciata con decorazioni dal tocco leggero che chiaramente posizionano questo distillato come delicato e adatto a un pubblico femminile».
Sui trend del momento, Jones aggiunge: «Il design delle bottiglie è sempre più ispirato a quello della profumeria, giacché gin e profumi sono costruiti sull’alchimia degli aromi e sono liquidi preziosi. Per la chiusura si ricorre a diversi materiali, ognuno con una specifica identità, portando anche l’attenzione sull’esperienza di apertura.  La ceramica è un altro materiale di tendenza e la forma non segue necessariamente la funzione della bottiglia da liquore, ma lascia aperta la possibilità di un riuso, per esempio come vaso da fiori. Infine, i packaging designer sono chiamati a pensare anche alla sostenibilità. Il gin Cantium propone contenitori riutilizzabili, mentre il gin Rock Rose fornisce delle ricariche con cui riempire nuovamente la bottiglia in ceramica».
Ancora uno spunto di riflessione a due voci su un aspetto particolare: l’identità geografica e le strategie di export. Secondo Paolo Insinga «l’Italia è nota per le numerosissime varietà di prodotti garantiti dai marchi UE di denominazione e tutela, ma è anche celebre per la ricchezza della biodiversità che, nel caso del gin, ha un ruolo determinante. Numerose etichette di gin fanno leva su questa opportunità e possono parlare della gente, del luogo, dello spirito che li animano, dell’artigianalità. I piccoli nuovi produttori hanno risorse economi- che limitate, ma sviluppano una grande creatività nel loro approccio al mercato». Dal canto suo Lindsey Jones sottolinea: «Il Regno Unito è oggi il maggior produttore ed esportatore di gin a livello internazionale con marchi come Gordons, Beefeater e Hendricks che sono fra i sette più venduti al mondo.
Il Regno Unito è sinonimo di gin con marche molto apprezzate nelle aree geografiche dove tale origine ha ancora un ascendente. Comunque, non c’è solo l’origine geografica che conta, anche la creatività e l’originalità hanno un ruolo importante soprattutto considerando che il mercato si sta saturando e quindi le distillerie devono innalzare il livello del brand design e del packaging design».

Viaggio in distilleria
Una bottiglia per ogni distilleria e spesso una bottiglia per ogni etichetta di gin prodotta dalla stessa distilleria. In Italia si contano centinaia di etichette e tantissime distillerie artigianali che si muovono con disinvolta agilità fra multinazionali e grandi aziende, grazie a un’inventiva audace ed esuberante, espressa nel prodotto tanto quanto nel packaging e nel suo corredo di etichette, decorazioni, chiusure-gioiello, mini monografie e astucci appositamente costruiti per celebrare l’unboxing experience. Anna Boschi, che opera nel marketing della Distilleria Bertagnolli, ci spiega il concept che ha ispirato il packaging design del loro gin: «Nel 2019, con l’avvicinarsi del centocinquantesimo anno di attività della Distilleria Bertagnolli, è nata la necessità di rinnovare la linea celebrativa che rendeva omaggio alla fondatrice Giulia de Kreutzenberg che, assieme al marito Edoardo Bertagnolli, fondò la distilleria a Mezzocorona nel 1870. È nato così Gin 1870 – Raspberry Dry Gin, un gin al lampone, pepe, ovviamente ginepro e altre due botaniche segrete, custodito in una bottiglia dalla diamantatura fine ed elegante, che richiama il periodo della Belle Époque. L’etichetta evocativa avvolge interamente la sezione centrale della bottiglia e riporta sul fronte una cornice circolare in cui è inserito il nome del prodotto e il logo Distilleria Bertagnolli 1870 accompagnato dal nuovo payoff “cuore trentino”, nato in occasione del restyling dell’intera rosa dei prodotti Bertagnolli. L’etichetta istoriata narra di come Giulia de Kreutzenberg sia venuta a conoscenza del prodotto gin; in stile litografico sono rappresentate alcune scene di questa felice storia, nonché la foto della nobildonna ritrovata negli archivi storici della distilleria. Il tratto distintivo è la verniciatura azzurra della bottiglia che si sposa con la cromia dell’etichetta e del tappo in plexiglass. Completa la vestizione della bottiglia un collarino che riporta l’anno di fondazione».
Percorriamo pochi chilometri e in Trentino troviamo un altro gin, un’altra identità, un’altra storia. Ce la racconta Simon Schweigkofler, responsabile marketing di Roner Distillerie: «Abbiamo affidato al design la narrazione della storia del nostro Alpine Gin Z44, la cui particolarità è il cirmolo (in tedesco Zirbel) raccolto sul Cono Bianco vicino alla nostra distilleria a un’altezza di 1850 metri. Il contenitore trasparente, infatti, mostra la montagna ricoperta di neve, riprodotta sul retro della bottiglia. L’illustrazione racconta le botaniche alpine tipiche dei boschi che ci circondano e che donano al gin un aroma inconfondibile. La natura, gli ingredienti genuini e il nostro forte legame con il territorio sono gli elementi identificativi del brand, che attraverso le illustrazioni sono stati sviluppati nella rappresentazione grafica».
Sulle sponde del lago di Como, invece, nasce un gin che “strega” il palato. Marco Rivolta, co-fondatore di RIVO, traccia per noi il percorso che la mente ha fatto nella creazione di questo gin e della sua bottiglia: «Per secoli, le donne del posto hanno cercato nei prati attorno al Lago di Como erbe e fiori per preparare medicine e rimedi. La storia le chiamerebbe streghe. Noi le consideriamo pioniere di pozioni uniche. Ed è proprio l’elemento delle streghe e della magia che ha ispirato il packaging: linee geometriche si inseguono per creare figure astratte, che nei dettagli riprendono due elementi del territorio, le montagne e le onde del lago. L’idea era creare un design che richiamasse l’artigianalità italiana, ma che al contempo fosse moderno e capace di presentarsi a livello internazionale. Anche la bottiglia vuole richiamare l’elemento della magia con una forma unica ad ampolla. Oggi a esperte etno-botaniche è affidato il compito di raccogliere a mano e selezionare le 12 tipologie di botaniche proprie della flora locale, di certificarne la provenienza e di garantirne la qualità». Conclude Rivolta: «Era fondamentale che non solo il prodotto, ma anche il packaging richiamasse il nostro lago. La sfida è stata realizzarlo senza utilizzare cliché già visti. Da qui la scelta di astrarre elementi naturali con forme e illustrazioni nuove e originali. Abbiamo inoltre voluto dare alle forme una certa intimità, rendendole riconoscibili direttamente solo a chi conosce la nostra storia. In altre parole, un’etichetta da scoprire nei dettagli e poco per volta».
Dalla Lombardia passiamo all’Emilia, dove Lucia Palazzini, responsabile del marketing di Casoni Fabbricazione Liquori, ci affascina con una storia di nebbie e tabarri.
«Tabar gin viene distillato a Finale Emilia, nella Bassa Modenese, con una tecnica antica come è antica la storia dell’opificio Casoni, che dal 1814 produce liquori in questa terra, sempre avvolta nella nebbia in inverno», racconta Palazzini. «Ecco, il nostro gin è deciso e avvolgente come un sorso di nebbia. Il simbolo di questa foschia è il tabarro, a cui il gin deve il nome, che è il mantello da uomo tipico della zona. Una fonte di ispirazione anche per la serigrafia sulla bottiglia che raffigura la zona della bassa modenese avvolta dalla nebbia, che mette al centro un uomo col tabarro. Il logo riporta graficamente la rappresentazione di questa figura nella seconda A del nome per far sì che essa stessa diventi rappresentazione del brand».
Potremmo passare di regione in regione lungo lo Stivale e trovare decine di produttori di gin, invece facciamo un gran balzo e approdiamo in Sardegna dove la Distilleria Silvio Carta, dopo anni di prove e studi approfonditi, ha creato Giniu, un gin che vuole raccontare la Sardegna e i suoi profumi. Elio Carta, amministratore delegato, ci introduce nel mondo del suo gin: «Per Giniu abbiamo pensato di utilizzare una bottiglia unica nel suo genere e altamente riconoscibile, con un netto rimando al packaging dei migliori profumi francesi. A impreziosirla ulteriormente, il tappo realizzato in sughero con la parte superiore in acciaio prodotta da un artigiano della forgia locale. Giniu 517 è per l’intenditore più esigente: la bottiglia, vestita di platino e luccicante, racchiude l’edizione Riserva del gin top di gamma della distilleria Silvio Carta. Un prodotto di altissima qualità rappresentato dal packaging tanto quanto dal nome 517, il numero identificativo dell’appezzamento, in Sardegna, dove il ginepro viene raccolto a oltre 1.500 metri d’altezza. Per cui può essere definito un Cru». E sugli elementi che contribuiscono all’unicità di Giniu prosegue Carta: «Abbiamo deciso di serigrafare l’etichetta direttamente sul vetro della bottiglia. Frontalmente, per scelta, non appare il nome del produttore, ma lo si trova solo nelle informazioni obbligatorie riportate nel retro-bottiglia. Gli elementi ai quali si è dato più peso sono il lettering del nome del prodotto e i netti rimandi alle sue origini sarde. Giniu 517 è privo di etichetta, tutte le informazioni vengono incise direttamente sul metallo».

L’unboxing experience del gin
Bottiglie così speciali diventano elementi preziosi che caratterizzano l’esposizione in bar e locali dove il buon bere diventa inscindibile dal bello e da un’esperienza estetica coinvolgente. Queste bottiglie sono anche elementi segnaletici di un gusto preciso e di uno stile di vita molto personale, così la bottiglia di gin sta diventando il regalo di moda. Conseguentemente, la creatività viene esercitata anche sul packaging secondario, che consente il delizioso percorso dell’unboxing experience. Sul packaging secondario Anna Boschi di Bertagnolli dice: «Per il nostro gin sono stati sviluppati due tipi di packaging secondario, un astuccio semplice, che riprende gli stilemi e i contenuti espressi in etichetta, e una confezione speciale da degustazione, contenente una bottiglia e un tumbler serigrafato con il logo e la cornice circolare in cui è inserito». Non diversamente da Bertagnolli, anche Marco Rivolta per il suo Rivo gin pensa all’imprescindibile ruolo del packaging secondario, che «dà un valore aggiunto come regalo, o se venduto nei negozi enogastronomici specializzati. Il packaging riprende gli elementi grafici dell’etichetta e permette di approfondire e arricchire lo storytelling già presente sulla bottiglia».
Elio Carta della Distilleria Silvio Carta è ancora più convinto del ruolo del packaging secondario nel creare l’effetto sorpresa: «Aprire la confezione in legno personalizzata con la stampa a fuoco che riprende il design dell’etichetta di Giniu è davvero un’esperienza di grande soddisfazione. Giniu 517, invece, viene commercializzato all’interno di una preziosa box nera di legno, con il logo inciso sul metallo e incastonato sul tappo. La scatola ha l’interno verniciato di rosso per far risaltare ancora di più la lucentezza del platino».



 


10/09/2021


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