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Brand Design. Dal gourmet alla GDO

L’obiettivo di ogni studio di design è quello di trovare la soluzione più efficace per i propri clienti. Ma come cambia l’approccio quando si tratta di una selezione limitata di prodotti rispetto a una gamma molto ampia? Ne abbiamo parlato con Lettera7 e Doc Design, due studi specializzati in brand design su ambiti molto diversi ma con una cosa in comune: l’importanza del pensiero strategico.

di Roberta Ragona | su PRINTlovers 106

Due studi di design, due approcci progettuali che rispondono a esigenze diverse ma condividono una visione comune: quella di un packaging consapevole, narrativo e strutturalmente solido. Lettera7, studio di Vietri sul Mare, esplora il packaging come medium multisensoriale capace di attivare l’identità del brand. Doc Design, agenzia di Modena con una lunga esperienza nella Marca del Distributore, lavora su sistemi complessi pensati per garantire coerenza, efficienza e qualità lungo tutta la filiera. Due percorsi differenti che si incontrano nella ricerca di un design che funziona perché ben costruito, prima ancora che ben disegnato.

Packaging come esperienza sensoriale
Ci raccontano Dario Volpe, il Creative director, e Daniele Biancardi, Senior designer di Lettera7: «Siamo uno studio multidisciplinare, ci occupiamo di varie discipline del design che spaziano dalla strategia al branding: il packaging è uno dei tramiti attraverso cui raccontare una storia che sia un elemento di attivazione del brand. Affrontiamo il progetto in maniera olistica, cercando di sconfinare il perimetro che si è costruito intorno alla parola design: ad esempio stiamo innestando il sound design nel lavoro trasversale di branding, e in quest’ottica multisensoriale le scelte di materiali e texture del packaging è un pezzo dell’esperienza. La nostra idea è sempre utilizzare il pack come medium per una storia».

Il caso Trucillo: raccontare l’estasi del caffè
Un approccio che ha valso loro numerosi premi, come il packaging realizzato per Trucillo premiato ai Pentawards 2024. Racconta Biancardi: «Innanzitutto bisogna creare delle fondamenta, quindi partiamo sempre da una brand idea che possa venire declinata sugli elementi di packaging tramite i materiali e il trattamento grafico. Nel caso di Trucillo ci siamo trovati a lavorare con una torrefazione che fa alcuni tra i migliori caffè “di ricerca”: mono-origini incredibili ed enorme conoscenza della materia prima. La richiesta del cliente era di creare un progetto speciale che potesse diventare la loro flagship, intorno al quale costruire il resto del racconto di brand. La mole di ispirazioni da cui partire era enorme, perché i viaggi tra Honduras e Brasile di Antonia Trucillo e del resto della famiglia era già un mondo. Analizzando il prodotto e ascoltando i racconti di Antonia, abbiamo iniziato a girare intorno alla parola “estatico”: cercare di fotografare la sensazione quasi mistica dopo aver provato un caffè che ti spiazza. Abbiamo lavorato a partire dalle decorazioni dei tessuti documentati nei diversi viaggi, che abbiamo astratto e rielaborato con un filtro personale per restituire sulla sleeve in tessuto che riveste la latta in alluminio la sensazione tattile e corposa di quello che si poteva assaporare nel caffè».

Food design come espressione culturale
La dimensione concentrata permette di far risaltare la dimensione di produzione culturale che si esprime nei prodotti: «Ci sono alcuni prodotti – in particolare per quel che riguarda il mondo delle eccellenze enogastronomiche che sono espressione di un territorio – che, come la letteratura e la musica, possono essere portatori di concetti, idee, emotività: perché non il food? C’è molta cultura dietro alcune progettualità».
Prosegue Volpe: «Ci sono progetti più mass market che sono di consumo quotidiano, quindi magari non hai il tempo di raccontare una storia: devi raccontare i benefit. Ma quando c’è l’opportunità, è saggio farlo perché quel tipo di progetto eleva anche tutto il resto delle linee di prodotti più di uso quotidiano ma improntati alla stessa ricerca di qualità. L’acquisto accompagnato cambia il modo in cui raccontiamo le cose nel packaging: se il consumatore è solo davanti allo scaffale, anche se sta comprando un prodotto di qualità si deve basare su quello che sa e quello che gli dice il packaging. Quando cambiano i canali cambia quello che puoi raccontare: se sto facendo una degustazione di caffè sono più aperto e ricettivo, quindi il tempo è parte integrante del lavoro di design».

Oltre il canale: un metodo solido per ogni mezzo
Questa ricerca di senso vuol dire mantenere al centro il messaggio, a prescindere dal mezzo in cui viene espresso: «È importante non focalizzarsi su dei canali come se fossero il fine e non lo strumento. Non sappiamo cosa ci aspetta domani nelle discipline del design, per cui è importante che il processo sia solido, e i canali seguiranno. Cerchiamo di lavorare come un compositore che ha in testa una melodia, un suono e una struttura. Poi capisce quali strumenti far suonare per sollecitare determinate corde. Ecco, ad esempio nel rapporto tra la comunicazione digitale e quella stampata in questo momento è lo stesso: l’importante è essere credibili ed essere a fuoco. Dovrebbe essere tutto on life».

Un ruolo fondamentale di questo processo corale è quello che arriva in fase di stampa: «È importante avere dei partner di stampa con cui costruire un rapporto consolidato quando si arriva a un momento cruciale come quello della prototipazione. Noi abbiamo iniziato questo lavoro facendo i crocini di taglio a mano, siamo partiti da come funziona la macchina da stampa, dal disegnare la fustella e sapere come si ingegnerizza. È importante poi trovare aziende sul territorio con cui sviluppare un processo di prototipazione partecipato, perché ogni azienda ha uno storico di conoscenze costruito sulla pratica».

Doc Design: rigore e creatività nella MDD
Ma cosa succede quando questa cura del dettaglio deve essere trasferita in un ambito in cui le referenze sono innumerevoli e gli interlocutori si moltiplicano in maniera esponenziale? È il mondo in cui si muove Doc Design, agenzia di Modena specializzata in brand per il settore MDD, cioè Marca del Distributore. Un settore in cui il progetto strategico serve a creare una struttura in grado di mantenere la qualità attraverso gli infiniti passaggi di mano. Raccontano Fabio Bignardi e Katia Mascia, i founder dell’agenzia: «Abbiamo cominciato il lavoro in questo ambito in un momento in cui ancora in Italia quel tipo di approccio era pressoché ignoto a partire da una collaborazione con XMPR, ex Michael Peters Retail, uno dei colossi europei del settore. Creatività italiana e regole anglosassoni. I primi clienti sono stati il gruppo La Rinascente con UPIM, poi il gruppo Standa con due marchi di fantasia: non era ancora cominciata l’epoca delle MDD, white label o private label. Da qui abbiamo cominciato a lavorare per tutte le insegne italiane della grande distribuzione. Questa esperienza ci ha mostrato un metodo che è ancora alla base di quello che facciamo».

L’importanza della coerenza visiva e produttiva
Bignardi spiega come il loro ambito abbia delle logiche che indirizzano il modo in cui si lavora al progetto: «Il pensiero strategico è fatto di tre parti: dove voglio arrivare, con che mezzi ci voglio arrivare e con che tipo di immagine. Il design per la grande distribuzione è diviso in due: il primo è quello delle imprese, lì i progetti possono procedere step by step. Le insegne invece sono di impronta manageriale, per cui bisogna fornire loro un progetto compiuto in tutte le sue parti, una soluzione declinabile e gestibile autonomamente. Una delle componenti più complicate è portare il progetto davanti al cliente e farlo innamorare, ma tutte le idee, per quanto straordinarie, devono funzionare nella fase di messa a terra».

«Un’altra differenza fondamentale rispetto al brand aziendale – prosegue Bignardi – è che l’azienda tendenzialmente è monoprodotto. Se si espande in altri settori acquisisce altri brand, ma è un’offerta focalizzata. Se invece ci spostiamo su un’insegna della GDO si spazia dal detersivo alla pasta, e tutti i prodotti devono essere tutti coerenti per il consumatore. Non ci può essere il prodotto “calimero” e il prodotto “principessa”, tutti devono avere la stessa autorevolezza, e questo vuol dire sviluppare un progetto a 360°, con qualunque tipologia di stampa e materiali. Si presuppone una conoscenza approfondita dei sistemi di stampa da applicare alla casistica più varia: dalla rotocalco alla flessografia, dalla tampografia all’offset. Quando si entra in un punto vendita si possono trovare migliaia di prodotti a marchio, e devono essere ben riconoscibili e coordinati a prescindere da tecniche e materiali. Può sembrare un procedimento troppo analitico, ma consente a tutto il lavoro creativo di funzionare in maniera convincente per il consumatore. È il caso ad esempio di Tesori dell’Arca, la linea premium di PAM che abbiamo rilanciato nel 2023 ed è già arrivata a 480 referenze. L’anno scorso è stata selezionata tra le migliori insegne al PLMA (Private Label Manufacturer Association International Trade Show), la fiera più importante del nostro settore che si svolge ad Amsterdam». 

Struttura, memoria e controllo qualità
Mascia sottolinea come uno dei ruoli dell’agenzia sia quello di memoria storica: «I numeri delle referenze di Tesori dell’Arca non sono insoliti: un responsabile di una marca commerciale deve gestire durante l’anno una media di 400 referenze, cioè più di una al giorno. Se non ha una struttura che è in grado di filtrare, organizzare e soprattutto registrare diventa impossibile gestire questo volume di fuoco. Una delle funzioni che l’agenzia porta avanti è quella di memoria storica: tramite la nostra piattaforma i clienti hanno a disposizione anche tutti i loro progetti passati. In questo tipo di aziende il turnover è molto rapido, per cui si rischia di perdere la memoria del progetto. Uno dei temi fondamentali è il passaggio dell’informazione, sia tra interlocutori diversi che nel tempo. Un progetto medio dura 6 mesi e possono succedere tante cose, da cambi di confezionamento a cambi di normativa o di fornitori».

I clienti devono poter intervenire in autonomia sulle referenze ma con la serenità che tutto sia conforme, come sottolinea Bignardi: «A partire dal 2006 abbiamo messo i nostri clienti in condizione di gestire i progetti in autonomia, dando loro la possibilità di intervenire direttamente sugli esecutivi senza che un cambio fornitore di materiali o di stampa comporti un’interruzione. Anche perché in questo ambito c’è un aspetto molto delicato che coinvolge il controllo qualità e le normative. Noi diamo dei documenti che rispondono alle norme di legge e sono certificabili, che però possono essere modificati, ma avendo a che fare con informazioni complesse è fondamentale poter risalire sempre allo storico delle modifiche per capire dove si è creata un eventuale criticità. In advertising si possono fare degli strafalcioni e una campagna può andare male, ma sul packaging se non si mette adeguatamente in evidenza un dato, ad esempio un allergene, l’azienda incorre in gravi rischi. Il nostro lavoro è mettere i clienti nelle condizioni che questo non succeda: quando ci si può concentrare sull’efficacia e sulla creatività del brand design è perché tutto il resto sta funzionando come dovrebbe senza intoppi».


04/07/2025


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