Fotografia

Shopping online? Tutta una  questione di foto

Se guardare senza toccare è l’unico modo per fare una scelta, allora la fotografia è un elemento cruciale nelle vendite dell’e-commerce.
Di questo e di molto altro parliamo con Priscilla Foschi, amministratore e co-fondatrice di E-Photo, società full service per la fotografia di prodotto con sede a Milano, che gestisce un workflow di 700.000 scatti l’anno destinati all’e-commerce di brand come Armani, Trussardi, Etro, Furla, Boggi e di colossi del fast fashion e del prêt-à-porter come OVS e Gruppo Miroglio.


Di Michela Pibiri | Su PRINT 73


Se c’è qualcuno che in Italia ha vissuto dall’interno la nascita e l’evoluzione dell’e-commerce nella fashion industry, quella persona è Priscilla Foschi. 38 anni, fiorentina, laureata in Comunicazione all’Università di Siena, a partire dal 2010 è stata coordinatrice di produzione per Saldi Privati, realtà leader del modello vendita-evento online. Insieme alle due colleghe fotografe Roberta Pirisino e Giulia Ghiazza ha vissuto questo mondo con approccio pionieristico. E in tre, forti del know-how acquisito, nel 2015 hanno fatto il salto fondando E-Photo, che a sua volta ha fatto un ulteriore passo avanti nel 2017 con l’ingresso nel full service per l’e-commerce Triboo. Priscilla oggi segue la strategia aziendale e la direzione clienti, Roberta è operation manager e a Giulia spetta la direzione creativa dell’azienda.

In questi tre anni di vita E-Photo, che si occupa per l’80% della sua attività di moda e accessori, ha registrato una crescita di fatturato del 100% annuo. A questa ascesa contribuiscono 80 professionalità che lavorano nello studio di Via Pestalozzi a Milano, a pochi passi dallo IULM. Uno spazio con 15-18 set attivi ogni giorno, in cui viene gestito un processo che va dalla logistica di magazzino per i campionari fino alla consegna al cliente dell’immagine pronta per la pubblicazione online. In mezzo c’è un lavoro creativo di squadra, ottimizzato per la produzione industriale di grandi volumi.

Qual è il lavoro di chi fa fotografie esclusivamente per l’e-commerce, e cosa distingue E-Photo in questo mondo?


Nascere nel seno delle produzioni industriali del flash-sales ci ha permesso di vivere la crescita dell’e-commerce portando avanti un grosso lavoro di ricerca per l’industrializzazione di un processo fotografico che all’epoca – e parliamo di meno di dieci anni fa – non aveva gli strumenti tecnici per poter gestire i grandi flussi: in Saldi Privati la produzione era di circa 100.000 articoli l’anno. Forti di questa esperienza, abbiamo potuto riadattare le logiche di industrializzazione create per il mondo dei flash-sales alle produzioni monobrand. Abbiamo una produzione continuativa tutti i giorni dell’anno, e ci viene sempre più richiesto un completo full service. Riceviamo gli articoli, li anagrafiamo, componiamo e stiriamo i look e li portiamo in produzione sul set. Con noi lavorano addetti alla logistica, fotografi e assistenti fotografi, hair & make up artist e specialisti della postproduzione. Non si tratta di figure tecniche che nascono e crescono nell’e-commerce, bensì di professionisti che hanno un’esperienza editoriale, che devono dare al meglio la loro creatività all’interno di logiche industriali. Si tratta notoriamente di mondi in conflitto, e infatti il lavoro più grosso è l’identificazione di un flusso di produzione quanto più standardizzato ed efficiente. Attualmente il nostro ruolo si sta sempre più spostando da quello di mera casa di produzione a quello di consulenza, un po’ per la nostra natura specifica, un po’ per le esigenze dei clienti.

Un mondo che è cresciuto in termini di numeri, ma anche di qualità. Lavorate in un settore, quello della moda, in cui fino a poco tempo fa era impensabile fare un acquisto senza toccare o misurare un capo, ed è anche un mondo estremamente affollato. Come è cambiata, anche stilisticamente, la fotografia?


L’e-commerce è ormai diventato un catalogo di brand senza limiti e accessibile a tutti, con le stesse funzionalità dello stampato in cui si mostra l’intera collezione e il suo sapore. Per essere coerente, il contenuto fotografico doveva necessariamente cambiare di livello, e quindi essere in grado di trasmettere un’emozione, un’attitudine che non era presente prima. La necessità è quella di distinguersi in un panorama sovraffollato di offerte, sconti, marketplace che presentano gli stessi prodotti in maniera anonima, quindi la costruzione del brand deve essere fatta in un sito proprietario con il suo e-commerce.
Possiamo parlare di un’evoluzione: prima la fotografia era statica e tecnica, tendeva alla simmetria e alla neutralità. Si pensava che lo sfondo distogliesse l’attenzione dal capo, e i volti delle modelle venivano tagliati ritenendo che le loro espressioni si identificassero troppo con un target e limitassero le vendite.
Ora le dinamiche di acquisto sono cambiate: si va verso la totale identificazione, la volontà di appartenere al mondo del brand in una logica aspirazionale. Un esempio interessante è rappresentato da brand come Fiorella Rubino e Elena Mirò che scelgono di non coprire ma esaltare le forme, creando qualcosa di attraente nel mondo del conformato. Il nostro compito è lavorare su un acquisto di impulso che però ragiona su logiche emozionali e che cerca di compensare la mancanza di interazione fisica che si ha col prodotto. Dunque a fronte della stola di cachemire di cui non si può far toccare la morbidezza, probabilmente la foto del capo che si muove col vento racconta molto più di qualunque minuziosa descrizione tecnica.

Ci sono differenze di trattamento tra alta moda e fast fashion?

Ogni brand lavora per la costruzione della propria immagine. La differenza di posizionamento guiderà un differente approccio fotografico. Ma si parla di guideline creative, non di cura del prodotto: il fast fashion Motivi sceglie per il proprio posizionamento uno shooting più dinamico, vivace e saturo rispetto a Giorgio Armani, più ombreggiato, con luci drammatiche, più caldo e più affine al posizionamento del brand. Ma tutto avviene con le stesse numeriche gestite al giorno, con la stessa cura e lo stesso livello di professionisti sul set.

Il web porta con sé la totale democratizzazione di accesso ai contenuti e l’apertura di nuove modalità di acquisto. L’e-commerce ha rotto l’incanto del lusso?


Nel mondo fisico il lusso sceglie di collocarsi accanto al lusso, nelle vie del lusso e con strumenti di lusso. Nel web questo non può esistere, e oggi parte dei clienti del lusso sono persone che acquistano in via del tutto aspirazionale. Sono state superate barriere come l’imbarazzo di recarsi nello store sentendo di non appartenere a quel mondo, o come l’accesso libero ai contenuti per chi vuole seguire le ultime tendenze, visto che la carta stampata ha un costo. Ma l’apertura a nuovi acquirenti per i brand non è denigrante: è visibilità. E con gli strumenti a disposizione e scelte commerciali coerenti con la propria identità e il proprio posizionamento, è possibile governare l’accesso e la fruizione della propria immagine anche sull’e-commerce.

Qualche esempio?

Hermès e Louis Vuitton si presentano sull’e-commerce con molte meno foto prodotto rispetto allo standard: non descrivono la borsa nei dettagli, non dicono se ha i piedini o quante cerniere ci sono, perché presuppongono che tu il prodotto lo conosca già. È un modo di presentarsi molto specifico che parla da sé. Armani, coerentemente col target delle diverse linee, si presenta con schede prodotto diverse per immagine e dettaglio.

Parola d’ordine di questi tempi è marketing mix. Esiste una reale interazione tra online e offline, tra il mondo retail e l’e-commerce? Il commercio online ha portato a ripensare l’esperienza fisica all’interno dei negozi?


Chi lavora in maniera evoluta sull’e-commerce prevede molta integrazione con il retail: magazzini condivisi in cui se non è disponibile la taglia si aiuta l’utente ad acquistarla online con un processo guidato, oppure i clienti vengono inseriti in database e ricevono offerte personalizzate. Pensiamo a Zara, che sta aprendo dei nuovi flagship store in cui è possibile visionare il capo e acquistarlo online direttamente lì: il capo non è disponibile nel punto vendita, c’è solo una campionatura per taglia. Dall’altro lato, molti brand hanno rafforzato le attività instore per attirare i clienti in negozio: progetti di brand experience, eventi speciali e situazioni che mettono il cliente nelle condizioni di seguire un percorso per insistere sulla fisicità, per esperire direttamente. La tendenza di cui abbiamo più percezione noi è ovviamente l’inverso: uno dei nostri compiti è ricreare nello store online l’esperienza dello store retail, non in maniera letterale ma reinterpretando il concetto per creare, con le nostre foto, lo stesso feeling.

Sempre a proposito di integrazione, come dialogano adv tradizionale ed e-commerce? I brand li mettono sullo stesso livello o, in qualche modo, l’e-commerce arriva quando tutto è già stato deciso?


Il brand evoluto sul piano digitale li mette sullo stesso livello, perché sa che una coerenza di visione è fondamentale. E in questa coerenza, ogni canale ha la sua specificità da rispettare: le campagne per il web devono essere pensate per il web, riadattare contenuti pensati per l’adv tradizionale non funziona, sono logiche diverse di contenuto e di immagine.
Nell’evoluzione del taglio qualitativo dell’e-commerce noi ci troviamo spesso a fare, oltre alle schede prodotto, vere e proprie campagne di comunicazione, in cui contribuiamo alla definizione del look & feel del brand.

Come risponde il mercato italiano all’e-commerce, e chi compra online oggi?

L’Italia è un mercato restio all’online, non ci si fida dei metodi di pagamento e delle spedizioni. Quindi il lavoro che hanno fatto i grandi attori, dai flash-sales ai marketplace, è stato quello di investire molto sulla fidelizzazione dell’esperienza d’acquisto, che inizia con la scelta di un prodotto e termina con la ricezione del pacco, non con il click del pagamento. Ma malgrado queste resistenze è una tendenza costantemente in crescita, i numeri sono al raddoppio di anno in anno, e il quantitativo di offerte sui siti è triplicato nell’ultimo anno e mezzo. Le esperienze sono sicuramente facilitate dalle nuove generazioni e dalla sempre maggiore facilità dei pagamenti.

Parlando dell’esperienza d’acquisto: nell’e-commerce non viene mai mostrato il packaging del brand, che nel mondo fisico ha un appeal determinante. Dargli spazio non potrebbe rappresentare un valore?


Nell’acquisto online il packaging non è solo quello del brand, ma quello della logistica che cura la spedizione. L’esperienza di acquisto si conclude con la ricezione della merce, e quella di successo prevede che anche questo ultimo passaggio (confezionamento, transito, ricezione) sia gestito nel rispetto degli accordi e con una qualità che soddisfa le aspettative. Le variabili in gioco sono molte: tempo e qualità del picking in logistica, confezionamento sicuro della merce, puntualità della spedizione, e addirittura alcuni grandi attori come Amazon investono nel rendere più user friendly possibile l’apertura del pacco. Credo che il packaging del brand sia dato per scontato - il consumatore se lo aspetta già come dovrebbe essere - ed è sicuramente secondario rispetto al valore di una spedizione di successo. E poi, probabilmente, esiste anche un concetto di acquisto pubblico e acquisto privato. Se uscire da una boutique con un sacchetto logato e prezioso può essere motivo di ostentazione, nel privato dell’acquisto online il concetto decade.

Il segreto, o i segreti, del vostro successo?

Abbiamo colmato un vuoto di mercato, perché avevamo una struttura di flusso di produzione che uno studio fotografico, anche a parità di livello qualitativo, non era in grado di gestire, e di contro le grandi realtà internazionali in grado di farlo non erano alla portata di un mercato ancora acerbo come quello italiano. Ci siamo inventate una logica di intelligenza artificiale che ci aiutasse a standardizzare il processo: non c’era un prodotto sul mercato adatto alle nostre esigenze e quindi ce lo siamo sviluppato su misura, insieme a tre società partner, con un investimento enorme. Ma prima di tutto c’è il fatto che il nostro lavoro ci piace proprio: i cambiamenti sono talmente tanti che non ci si annoia mai. E senza la passione non ce l’avremmo mai fatta.




 


06/07/2018


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