Fotografia

Attraverso il vino

Dallo still-life delle bottiglie alla narrazione di un’intera cultura. La fotografia pubblicitaria, quando parla di vino, ha il compito di presentare al meglio i prodotti e interpretarne la storia, con un approccio trasversale capace di restituire la complessità di senso – e di sensi – che porta con sé.

Di Michela Pibiri | Su PRINT 72

Quello che succede dietro l’obiettivo ce lo racconta Alvise Barsanti, fotografo specializzato nel settore vinicolo che ha lo studio a Negrar, nel cuore della Valpolicella, terra che è sinonimo di cultura del vino fin dai tempi dei Romani. Qui lavora per brand come Allegrini, Bertani Domains, Cesari, Ferrari, Gravner, Le Fraghe, Mezzacorona, Rotaliana, Sartori e Tenute Salvaterra. Lo still-life del vetro e delle trasparenze è il cuore del suo lavoro, ma nei suoi viaggi tra filari e cantine costruisce una narrazione fortemente evocativa, fatta di atmosfere ed emozioni in grado di tradurre la cultura del vino, del lavoro appassionato e dei territori da cui nasce.


Un destino imprevisto
Veronese, fotografo professionista dal 1987, Alvise Barsanti da bambino sognava di fare il maestro di sci. Ma quando non aveva ancora vent’anni un infortunio ha interrotto le sue ambizioni sportive e, con la complicità della Rolleiflex biottica degli anni ‘50 di suo padre, avvocato con la passione della fotografia, ha riscritto il suo destino. “Anziché iscrivermi all’ISEF come avevo immaginato, ho fatto l’apprendista di un fotografo che lavorava nel cinema e che aveva un grande talento per lo still-life. Dall’84 all’89 ho poi lavorato in uno studio di Verona specializzato in Food & Wine, che si occupava anche della progettazione grafica delle etichette; lì si lavorava con la migliore attrezzatura disponibile all’epoca, tra cui un banco ottico 2025. Dopo questo periodo di apprendistato ho deciso di aprire il mio primo studio, per poi affacciarmi al mondo del vino nel 1998 grazie a un’amica che lavorava alla Bertani”. Da lì in poi è nata una lunga collaborazione con il Gruppo Italiano Vini e, grazie alla ricerca specialistica e allo studio costante, Barsanti ha guadagnato la fiducia di importanti cantine del Nordest.

Trasparenza assoluta
Precisione, eleganza e leggibilità della bottiglia sono gli elementi chiave con cui Alvise Barsanti definisce il proprio lavoro. La bottiglia è packaging a tutti gli effetti, composto da materiali diversi che richiedono estrema precisione nel trattamento fotografico che si riserva loro. E se una bottiglia si può fotografare in tanti modi, per ottenere un’immagine di prodotto davvero bella e impeccabile bisogna stabilire e rispettare dei parametri, perché “lo still-life di bottiglie — dice Barsanti — è solo apparentemente semplice, spesso sottovalutato sia dai fotografi, sia dai clienti”. L’aspetto più importante? “Sicuramente la cura dell’illuminazione, mentre quello più complesso è il lavoro sulla trasparenza. La sfida più ardita per un fotografo è il vino bianco su fondo bianco: la capacità tecnica deve sposarsi con la sensibilità per le sfumature, che variano da bottiglia a bottiglia. Il segreto è conoscere il modo in cui la luce lavora sul vetro: per avere il giusto colore e rotondità, il vetro deve essere vero vetro, e il liquido deve essere cristallino e non torbido. La foto su fondo bianco viene poi scontornata in postproduzione ma l’immagine deve essere pensata fin dal principio in funzione del fondo. Con l’uso del fondo bianco, eventuali contrasti si possono accentuare oppure perdere. E ogni minimo dettaglio balza subito all’occhio: è come trovarsi davanti a una radiografia”.
Un lavoro scientifico, per il quale Barsanti usa uno studio di posa dedicato esclusivamente ai cataloghi e ha messo a punto un metodo per ottenere una qualità replicabile e costante nel tempo. E per quello che non si può tecnicamente fare con lo scatto, arriva in soccorso la postproduzione, usata sempre con criterio per non snaturare l’oggetto. “Il vetro, per sua natura, presenta sempre dei difetti, come bolle e graffi, che compromettono la perfezione dell’immagine e si possono eliminare solo in digitale”.

Ambientazioni e close-up
Ma lo still-life di bottiglie si può declinare anche in foto ambientate, con fondi ricchi di colori, ombre, contrasti e in abbinamento ad altri oggetti: “Sono immagini che spostano l’attenzione sulla composizione e quindi minimizzano eventuali difetti di purezza della bottiglia. Lo stesso si può dire del close-up, perché non si ha la ripresa ortogonale della bottiglia che, invece, comporta delle difficoltà dal punto di vista della leggibilità delle etichette, soprattutto in presenza di nobilitazioni metalliche. Una lamina oro, che riflette come uno specchio, in foto può risultare nera, e nelle riprese frontali c’è sempre un punto morto: in questi casi si fa ricorso alla postproduzione per il montaggio di scatti diversi in un’unica immagine o per la restituzione dell’oro sulle lettere. Sono tecniche che non vanno sottovalutate, anzi, sono una parte fondamentale del lavoro”.

Il culto dell’etichetta
Una buona etichetta è quella che riesce a trasmettere la cultura del vino, i valori del brand, il carattere del prodotto: lo fa attraverso la progettazione grafica, la carta che non è mai una carta qualunque, la stampa e le nobilitazioni, e sulla sua realizzazione si concentrano grandi investimenti da parte delle aziende. Tradurre in fotografia questo lavoro significa non soltanto rispettarlo, ma proiettare la narrazione oltre i confini del packaging. “Valorizzare un’etichetta richiede capacità tecnica, certo – spiega Barsanti – e alcune richiedono acrobazie: alla luce base si applicano varianti studiate sulla singola etichetta, e talvolta, abbiamo detto, è necessaria la postproduzione. Ma la differenza la fa la sensibilità di comprendere, a monte, la qualità di ciò che si fotografa.

Lavorare con le etichette è come lavorare nella moda, un mondo nel quale sono fondamentali la creatività dei designer e le caratteristiche dei materiali. Non a caso collaboro con Luca Rebesani, un art director e grafico che proviene dalla fashion industry, e insieme abbiamo creato The Wine Team, specializzato in campagne dedicate al vino”.

Acqua, frontiera del lusso
Accanto alle cantine che investono molto sulla loro immagine – e un’idea possono darla quelle che hanno affidato alle archistar la progettazione o la ristrutturazione delle loro aziende – anche il settore delle acque minerali ha guadagnato il proprio posto nel firmamento del lusso, e non è quindi raro trovare nei ristoranti stellati carte delle acque studiate da esperti idrosommelier in grado di consigliare il giusto abbinamento con le pietanze. L’acqua esula dall’ambito delle commodity per posizionarsi sullo stesso livello del Wine & Spirits, con la complicità di bottiglie dal design ricercato ed etichette nobilitate.
“La comunicazione alimenta questa nuova tendenza – racconta Barsanti – e c’è una forte attenzione pubblicitaria nei confronti degli aspetti salutistici e delle caratteristiche organolettiche delle acque. Tra i miei lavori c’è quello per Surgiva: un’acqua del gruppo Lunelli-Ferrari che viene consumata dai sommelier per pulire la bocca tra un vino e l’altro durante le degustazioni, e si presenta con caratteri di esclusività e ricercatezza. Dal punto di vista fotografico il trattamento è identico a quello del Wine & Spirits: attenzione alle luci, ricerca della trasparenza assoluta, valorizzazione delle peculiarità delle etichette, e, spesso, composizioni che ambientano l’acqua accanto alle creazioni degli chef”.

Immortalare la sinestesia
Non è banale ricordare che, quando parliamo di vino, abbiamo a che fare con uno stimolo sensoriale complesso in cui la vista ha un ruolo solo parziale: una sinestesia che non è facile comunicare attraverso l’immagine, per quanto perfetta sia, di una bottiglia. Per questo la comunicazione di un’azienda vitivinicola che voglia fare leva sull’emozione non può fermarsi dentro la sala posa: ci si sposta dalla bottiglia al territorio, si va in vigna, in cantina, si incontrano le persone, si ascoltano le storie di famiglia, si registrano il ciclo delle stagioni e le fasi di lavoro per raccontare tutta la cultura che c’è dietro il prodotto. “Qui — racconta Barsanti — entra in campo la soggettività. Se la foto in studio richiede un approccio scientifico, nel racconto complessivo della cultura del vino ci si può concedere un po’ di artisticità. Che non significa abbandonare la tecnica: anche nella creazione di una foto evocativa ed emozionale non ci si può affidare al caso né dimenticare le geometrie, le prospettive e i punti di fuga.
Ma è, in un certo senso, tutto più semplice: i clienti non danno mai direttive precise e posso fotografare in libertà quello che mi colpisce di più, dando il via libera anche alla mia passione per il ritratto”. Le fotografie così realizzate sono destinate ai siti web delle aziende, ai cataloghi e alle pubblicazioni speciali, agli allestimenti dei punti vendita e degli stand per le fiere, alle campagne pubblicitarie e alle riviste specializzate. “La sensibilità di chi vede l’immagine — dice Barsanti — fa il resto”.


07/12/2018


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