Interviste

Torna il sign painting

Non sono pochi i brand che stanno riscoprendo questa antica tradizione italiana. Ne parliamo con Carlo Destefani, che ha appena terminato il decoro (con una foglia d'oro 23 carati!) delle vetrine di Candiani Denim.

Di Stefano Torregrossa | Su PRINT 78

Carlo Destefani inizia molto giovane lavorando come imbianchino e diplomandosi come web designer: trascorre così i suoi primi dodici anni di carriera diviso tra un’agenzia di comunicazione a Brescia e i soffitti, i muri e le facciate degli edifici. Se da una parte coltiva la passione per il design, la tipografia, la comunicazione e il digitale, dall’altra mantiene viva una tradizione artigianale antica, che lo porta a scoprire materiali, colori, manualità.

Come hai capito che il sign painting sarebbe diventato il tuo mestiere?
È successo quasi per caso. Ho frequentato un corso di hand lettering con il newyorchese Jon Contino, tra i più grandi del settore: con lui ho riscoperto l’amore per la manualità, la scrittura, il pennello. I successivi workshop di sign painting con Mike Meyer a Zurigo e con Jakob Engberg a Copenhagen mi hanno aperto definitivamente gli occhi. Ho passato i seguenti quattro mesi chiuso in garage ad approfondire tecniche, strumenti, possibilità. La vita in agenzia mi stava stretta: mi sono licenziato e mi sono dedicato a tempo pieno alla pittura di insegne con il progetto TheStephani.

Che tecniche usi?
Per progettare mescolo la tradizione — matita, carta, pennello — e il digitale: disegno anche in vettoriale, soprattutto per layout di grandi dimensioni o quando è necessario partire da un brand già esistente. La realizzazione, invece, avviene esclusivamente a mano con pennello, matita, riga, bolla, compasso. Dipingo con smalti sintetici a base oleosa, molto più densi e resistenti anche su supporti difficili come il vetro. Ma è possibile usare anche vera foglia d’oro a 23 carati, per risultati di altissimo pregio.

Il sign painting, in passato, ha avuto una grande tradizione nel nostro Paese: perché oggi non è più così?
Nel secondo dopoguerra, le contaminazioni culturali con Stati Uniti ed Europa, unite alla creatività e al buon gusto italiano, hanno prodotto una generazione di straordinari pittori di insegne. Trent’anni dopo, l’arrivo dei computer e dei plotter da taglio — con i vantaggi in termini di costi e tempi di realizzazione, a discapito della qualità — ne hanno decretato la fine, in Italia come nel resto dell’Europa. Oggi, fortunatamente, il sign painting sta tornando: nei paesi del nord è un movimento già consolidato, in Italia si confermerà nei prossimi anni.

Raccontaci il progetto per la vetrina di Candiani.
Per la realizzazione ho preparato il lettering in reverse e l’ho applicato sull’esterno della vetrina. All’interno, ho applicato una vera foglia d’oro 23 carati in corrispondenza delle lettere e ho realizzato il disegno delle lettere, per poi asportare l’oro in eccesso. Dopo aver dipinto in nero l’estrusione del lettering, infine, ho applicato una vernice trasparente di protezione, per renderlo resistente e lucido allo stesso tempo. La vera difficoltà? Realizzare quest’opera mentre oltre una dozzina di altri artigiani, attorno a me, stavano contribuendo alla finitura del locale.

Molti brand stanno riscoprendo, negli ultimi anni, il piacere dell'analogico: l'uso di caratteri antichi, il recupero della stampa letterpress, la calligrafia, il fatto a mano.
Le tecnologie di progettazione, oggi, permettono una rapidità di esecuzione indiscutibile, ma rendono la comunicazione più fredda, asettica, impersonale. I designer cercano ispirazione nel passato, quando era la creatività a fare la differenza, non gli strumenti tecnici. Ecco perché credo che questa tendenza neo-vintage sia destinata a durare: la comunicazione che genera è più mirata ed efficace, il design è più solido, consistente, personale. Molti brand internazionali affidano parte della comunicazione a designer, diciamo così, "analogici". Un esempio? I billboard in nord Europa sono spesso dipinti a mano su palazzi enormi, creando opere uniche di grande impatto visivo.

Qual è il valore aggiunto di un’insegna fatta a mano?
Lo stesso valore di un abito cucito su misura: la forza espressiva e l’unicità di un lavoro fatto a mano sono impareggiabili, persino nelle piccole imperfezioni delle pennellate che lo rendono irripetibile. Gli smalti o la foglia d’oro usati per dipingere, poi, hanno riflessi e colori vividi, in grado di dare un’anima originale all’insegna. Anche in questo settore, un’opera unica e custom-made diventa espressione di lusso.

 


18/10/2019


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