Materiali e Printability

Come si stampa il poliestere, la stoffa della comunicazione

Parlare di soft signage significa fare un viaggio nel mondo dei filati, dei tessuti e dei finissaggi. Ma anche in quello della plastica e della sostenibilità, dato che il poliestere, supporto per eccellenza di questo strumento di comunicazione, è un polimero. Qui seguiremo i chip o fiocchi polimerici mentre vengono estrusi, filati e tessuti. E poi scopriremo come vengono trasformati, stampati, tagliati e confezionati fino a diventare “soft signage”.

Di Elena Panciera | Su PRINTlovers 89

La storia del tessuto si intreccia alla storia dell’umanità. È uno dei pochi materiali che ci riveste, letteralmente, dall’inizio dei tempi. Che portiamo sulla nostra pelle, che ci diventa seconda pelle. E quella tessile è la prima industria moderna a nascere e svilupparsi. Il tessuto richiama immaginari poderosi, anche quando non viene usato per l’abbigliamento. Protegge il nostro sonno, correda i nostri pasti, decora le nostre case. Ecco perché quando lo scegliamo per comunicare disponiamo di una potenza quasi ancestrale.

La stoffa della comunicazione
Una delle macro tendenze della comunicazione visiva, negli ultimi anni, è il “soft signage”, letteralmente “segnaletica morbida”, perché viene realizzata stampando tessuti di poliestere. Sono definiti soft signage striscioni e banner, bandiere, rivestimenti edili, i cosiddetti backlit o retroilluminati, ombrelloni, gonfiabili, gazebo. Anche fondali e scenari teatrali e televisivi vengono realizzati con le stesse tecnologie di stampa e confezione (ma questi, a dire il vero, non hanno sempre finalità di comunicazione).
Questo supporto viene apprezzato per il suo aspetto naturale, ma anche per la sua semplicità di utilizzo, la sua leggerezza, la sua durabilità, la sua facilità di trasporto, la sua riciclabilità – tutti aspetti che ne fanno un materiale ecosostenibile. Il soft signage ha iniziato a diffondersi Nord Europa – Scandinavia, Germania – e nei Paesi anglofoni – UK, USA, Australia. Da qualche tempo si sta conquistando spazi sempre più significativi anche in Italia. Dobbiamo questo ritardo soprattutto a differenze culturali e legislative proprio sul tema dell’ecosostenibilità. Oltre a questo, quando decidiamo di realizzare un progetto di soft signage dobbiamo considerare che l’aspetto e la stampabilità del materiale finale dipendono in modo massiccio dalle lavorazioni intermedie che trasformano i chip o i fiocchi di poliestere prima in filo o filato e poi in tessuto. Il colore delle fibre influenza quello degli inchiostri e definisce l’effetto finale del prodotto, così come l’opacità del polimero o l’eventuale interazione di trattamenti chimici o fisici detti “finissaggi” con le chimiche di stampa. Perciò per scegliere il migliore materiale per il nostro progetto di soft signage è importante conoscere la sua storia produttiva. Infine, è cruciale ogni aspetto che riguarda la confezione, perché un tessuto difficilmente può essere usato senza tagli e cuciture.

Una questione di chimica
Il poliestere, anzi, i poliesteri, sono materiali sintetici; il primo è stato commercializzato nel 1948 in Inghilterra con il marchio commerciale Terylene. Il poliestere più usato nel settore tessile è il polietilene tereftalato, noto come PET. Ce ne sono altri, facili da tingere anche a bassa temperatura, ricercati per le loro caratteristiche fisiche e chimiche. Tutti sono flessibili, tenaci, resilienti, elastici, stabili dal punto di vista dimensionale e con un basso peso specifico. Inoltre sono resistenti all’acqua e agli agenti chimici e fisici, all’usura, all’abrasione, al calore, alle pieghe (ed è questo sicuramente uno dei motivi del loro successo nell’abbigliamento). Inoltre hanno una “mano” naturale, ovvero al tatto sembrano fibre naturali. Queste proprietà possono essere potenziate o aggiunte grazie a procedimenti chimici, fisici o meccanici, detti finissaggi: ingualcibilità, scarsa pelosità, traspirabilità (soprattutto quando si parla di microfibra), ma anche resistenza al fuoco, tinta in pasta, proprietà antibatteriche, antimuffa e anti UV.
Come definire l’ecosostenibilità di un prodotto? Ci sono diversi aspetti da considerare: i metodi, le attrezzature e i prodotti chimici utilizzati nei processi produttivi, il riciclo degli scarti pre consumo e dei prodotti post consumo. Per la plastica esistono diverse normative che regolano la prevenzione alla fonte, il riutilizzo, il riciclo, il recupero energetico e lo smaltimento, soprattutto nell’ambito del packaging, da cui proviene la maggior parte dei rifiuti da plastica post consumo. In un anno nel mondo ne generiamo circa 265 milioni di tonnellate, di cui ne ricicliamo solamente il 17%. Il poliestere (PET) è il polimero più riciclato in assoluto, in Europa viene recuperato il 58%. La sigla “rPET” definisce il poliestere riciclato per via meccanica o chimica. Il metodo meccanico è il più diffuso e produttivo, ma ha alcuni vincoli importanti che fanno sì che il poliestere riciclato in questo modo abbia usi limitati rispetto a quello vergine, soprattutto in ambito food. Sul riciclo chimico, invece, si sta facendo molta ricerca. Ci sono aspettative alte, perché a differenza del riciclo meccanico non comporta una perdita di qualità del polimero: il poliestere viene riportato ai suoi componenti di base (monomeri), che vengono polimerizzati di nuovo. Inoltre, con il metodo chimico si riescono a riciclare anche sistemi “plastic mix”, tra cui TNT e misti poliestere e cotone.
Le fibre usate nel settore tessile possono essere naturali, artificiali e sintetiche. Sulle prime ci sono pochi dubbi. Quelle sintetiche sono ottenute da processi chimici. Le fibre artificiali vengono invece realizzate integrando materie prime di origine naturale e sostanze sintetiche.

Da chip a filato
Nel mondo tessile, ci sono tre passaggi attraverso cui le materie prime assumono la forma finale: la filatura, la tessitura e il “finissaggio”, ovvero tutte quelle lavorazioni che possono avvenire sia sul filo o sul filato che sul tessuto. Il poliestere non fa eccezione. Il poliestere è duttile: può essere trasformato in filo oppure filato, a seconda della materia prima, della lavorazione e della destinazione d’uso del prodotto finito. I poliesteri riciclati vengono cardati a partire da fiocchi, dato che non hanno una qualità sufficiente per produrre fili continui. La qualità del filato, e quindi del tessuto, si misura anche dalla lunghezza delle fibre di cui sono composti: più lunghe sono, maggiore sarà la resistenza e minore la possibilità di formare i “pallini” (pilling). A questo punto avviene la filatura.

Da filato a tessuto
Ci sono quattro principali tipologie di tessuto: alcune sono facilmente stampabili, altre meno, ma la tecnologia a sublimazione usata per il poliestere di solito riesce a dare buoni risultati in ogni caso. Quello ortogonale o navetta è il tessuto per antonomasia: composto da fili ortogonali, trama e ordito, ha una buona stabilità dimensionale. Può avere armature o costruzioni diverse, cioè diversi modi in cui ordito e trama si intrecciano.
Il tessuto a maglia viene prodotto a partire da un unico filo; ha un’elasticità “naturale” data dagli spazi tra le maglie. Esiste anche una versione indemagliabile che non si sfila. Il TNT è composto da fibre che vengono pressate e tenute insieme in modo meccanico, chimico o termico. Non è molto resistente, ma è economico e rapido da produrre. Infine abbiamo il tufting, il tessuto dei tappeti e delle moquette, composto da nodi che danno origine alla caratteristica peluria. Si stampa con difficoltà, ma non è impossibile.

Stoffe con i superpoteri
Nel mondo tessile tutte le lavorazioni che non sono la filatura o la tessitura e che servono a migliorare le caratteristiche di un tessuto vengono definite “finissaggi” (o “finiture”). Sono, di fatto, le nobilitazioni dei tessuti. Il finissaggio del poliestere può avvenire in vari momenti: in estrusione, in filatura, sul tessuto e anche sul capo finito. Alcuni finissaggi sono importanti per la stampa: il tessuto viene immerso in vasche oppure spruzzato con chimiche sbiancanti (per ottenere il bianco ottico), oppure può essere intriso con un prodotto che facilita la sua impregnazione in caso di stampa: l’imbibente. È questo prodotto che serve per esempio per realizzare le bandiere, la cui decorazione deve essere bifacciale. La resinatura consiste nella spalmatura di una resina sul retro del tessuto per conferirgli proprietà antisfilo, di resistenza al fuoco e idrorepellenza. Il coating, anche detto coatizzazione, è invece la spalmatura di una resina sul fronte del tessuto con una racla, per immersione oppure con un cilindro. Questa lavorazione può agire su molte proprietà del materiale: resistenza all’acqua e ritardante di fiamma, protezione dai raggi UV e antimuffa. La coatizzazione modifica intensamente la natura del materiale: il poliestere diventa un supporto per la resina, e passa (letteralmente) in secondo piano. Questo finissaggio ha conseguenze importanti dal punto di vista della scelta della tecnica di stampa, che di fatto non deve più legarsi al tessuto, ma al materiale usato come coating. Anche la “mano” cambia in modo significativo, diventando più rigida, e si perde l’effetto visivo e tattile di trama e ordito. Esistono anche tessuti dalle proprietà speciali, come fonoassorbenza ed elettrostaticità. La prima aiuta a realizzare strumenti per il comfort acustico, grazie anche a speciali materassini per l’isolamento sonoro. La seconda consente di ottenere tessuti adesivi removibili e riposizionabili che, a differenza di materiali plastici, non formano bolle d’aria.

Una confezione perfetta
Quando si lavora con i tessuti, taglio e confezione sono passaggi fondamentali: altrimenti il prodotto finito non è effettivamente utilizzabile. Infatti non è raro che nelle aziende che producono soft signage ci sia la figura del sarto. Il taglio viene raramente fatto a mano: ormai sono diffusi i tavoli da taglio che, debitamente equipaggiati con tappeti adesivi per la gestione del tessuto, permettono di ottimizzare i tempi e di minimizzare il rischio di errori. Senza contare che quelli equipaggiati con taglio laser hanno anche la funzione di cauterizzare i bordi, evitando che la stoffa si sfilacci. I tessuti vengono uniti insieme attraverso cuciture più o meno semplici: porzioni di immagini “pannellizzate” vengono cucite senza che alla fine siano percepibili stacchi; vengono applicati bordi in silicone utili per inserire le tele stampate all’interno di cornici in alluminio (che possono essere anche retroilluminate con LED). Un discorso a parte merita la realizzazione dei gonfiabili. I tessuti scelti per questo particolare tipo di comunicazione, che devono essere impermeabili all’acqua e all’aria per poter mantenere la tridimensionalità, una volta riempiti d’aria, devono essere cuciti con una cucitura a doppio incastro, modello jeans: così lo sforzo non ricade sul filo ma sul tessuto, ed è garantita una resistenza maggiore.

Una stampa, tante stampe
La stampa tessile, tradizionale o digitale, su poliestere non coatizzato avviene principalmente con tre tipi di inchiostri: i dispersi per sublimazione, i dispersi e i pigmenti, questi ultimi due meno usati del primo nel soft signage. I dispersi per sublimazione hanno bisogno di trascorrere circa un minuto in calandra o pressa a 180-200°C, così che le molecole di inchiostro possano sublimare (ovvero passare direttamente dallo stato solido a quello gassoso) e quindi legarsi chimicamente alle fibre di poliestere. I pigmenti invece ricoprono il filo senza legarsi chimicamente, e per questo sono molto utili nel caso in cui dobbiamo stampare tessuti di poliestere misto cotone.  Entrambe queste chimiche possono essere stampate sia con tecnologia analogica (rotativa o manomacchina) sia digitale. La tipologia di stampa più diffusa è la sublimazione, che può essere diretta su tessuto (esistono anche stampanti con calandra integrata che velocizzano di molto il processo) oppure indiretta. In questo caso avviene in due fasi: l’immagine viene stampata specularmente su su carta transfer e poi viene trasferita sul tessuto in poliestere con un passaggio in calandra o pressa. La stampa a sublimazione non ha bisogno di pre o post-trattamenti: il passaggio a circa 200°C basta per fissare gli inchiostri. Una delle maggiori difficoltà che devono gestire i produttori di tecnologie di stampa è la gestione del materiale nella macchina, perché il tessuto non è rigido come la carta. Nel tempo sono state quindi sviluppati sistemi che bilanciano i naturali movimenti di questo materiale quando viene movimentato: allungamenti, pieghe, curvature. Nel caso dei tessuti coatizzati non possiamo più parlare di soft signage in senso stretto, ma le tecnologie di inchiostro che possiamo usare si moltiplicano: latex, UV e UV LED, perfino ecosolvent.



Grazie a:
Giuseppe Bosio, Textileprofessional.it
Luca Bellotto e Stefano Costacurta, Symera
Andrea Cappello, Imagink
Livio Cismondi, Peraria
Roberto Martellono, ATPColor
Marco Scatto, Plus4
Marco Vanzini, Mimaki Bompan Textile


18/02/2022


Materiali e Printability