Inchieste e ispirazioni

Clean food, clean packaging

Buono, pulito, giusto: il biologico di alta gamma si contraddistingue per scelte produttive di qualità, in cui la cura delle materie prime e l’eleganza del prodotto richiedono un packaging all’altezza del contenuto. Ne paliamo coi manager di tre eccellenze dell’agroalimentare italiano: Frantoio Pruneti, Acetaia San Giacomo e Ambrosiae.

Di Roberta Ragona | Su PRINTlovers 85

Nel 2018, secondo un report di Biobank, l’Italia ha raggiunto i 2 milioni di ettari coltivati secondo i criteri dell’agricoltura biologica. Con oltre 80 mila operatori del settore e un giro d’affari di oltre 6,4 miliardi di euro (con un fetta interessante di export) il cibo biologico è definitivamente uscito dall’alveo dei consumi di nicchia per diventare un fenomeno di massa.
Questo allargamento del mercato amplia la fetta di consumatori, ma genera anche nuove sfide comunicative e di packaging, con la necessità di differenziazione del proprio prodotto sia nella qualità che nel modo di proporsi al pubblico.
Se molti marchi puntano a una comunicazione che trasmetta l’idea degli alimenti biologici come un prodotto di consumo quotidiano – anche per competere meglio all’interno della grande distribuzione –, ci sono aziende dell’agroalimentare italiano per cui la produzione biologica è il proseguimento naturale di un rapporto con la terra di lunga data, di una filiera produttiva figlia di una tradizione artigianale profondamente radicata nel territorio.

Molte di queste realtà si possono definire come biologico di alta gamma, in cui la cura delle materie prime si riflette sulle scelte comunicative e sulla presentazione. Scelte produttive all’insegna di eccellenza e sostenibilità richiedono un packaging all’altezza, sia per qualità, sia per scelta dei materiali all’insegna del ridotto impatto ambientale e di una filiera trasparente. È possibile per il cibo biologico distaccarsi da un immaginario legato a scelte di packaging ormai codificate, evocative di un mondo rustico e incontaminato, e adottare il linguaggio del lusso nei materiali e nelle nobilitazioni, senza però venire meno alla sostenibilità?

Ne abbiamo parlato con i manager e la proprietà di  tre aziende che raccontano aspetti diversi del biologico di fascia alta in Italia: Frantoio Pruneti, azienda che dalla metà dell’Ottocento produce olio extravergine di oliva a San Polo in Chianti, nel cuore della zona del Chianti classico; Acetaia San Giacomo, la cui produzione avviene tutta a Novellara, all’interno di Corte Faragosa, un casale che vede le sue origini a metà del 1500; e infine Ambrosiae, una giovane azienda di Monsampolo del Tronto che prende il suo nome dall’Ambrosia, il cibo degli dei secondo gli antichi greci, un alimento prezioso che rendeva immortale chiunque lo assaggiasse.

Dice Katy Lapini parlando della filosofia dell’azienda e delle scelte di Gionni e Paolo Pruneti: «Anche quando si tratta del packaging, le aziende con cui lavoriamo sono sempre aziende del territorio, tra Firenze e il Valdarno Fiorentino. Attraverso il packaging cerchiamo di suggerire le caratteristiche del prodotto – come la bottiglia quadrata per i monocultivar, più di carattere, e quella tonda per i fruttati, più morbidi – ma anche una destinazione d’uso e di consumo. Un esempio è la bottiglia del nostro Olio Nuovo, per cui abbiamo scelto un design contemporaneo. Abbiamo approfittato delle possibilità offerte dalle innovazioni nella lavorazione su vetro, utilizzando una bottiglia con una satinatura particolare che protegge il prodotto dalla luce, con una resa estetica nuova rispetto alla classica bottiglia scura. La bottiglia suggerisce anche la modalità di consumo: il Nuovo è un olio semi-filtrato, soggetto a invecchiare più velocemente, per cui va consumato più fresco e la bottiglia chiara aiuta a veicolare questo messaggio».

Trovare un equilibrio tra la necessità di mantenere intatte le caratteristiche organolettiche di un prodotto così delicato, e l’esigenza di innovare ed evolvere coi tempi sono centrali nel packaging in vetro per l’olio: recenti ricerche a cura di Assovetro e dell’Università di Pisa e del Piemonte Orientale hanno messo a paragone campioni di olio extravergine d’oliva imbottigliato in contenitori di materiali differenti, fra cui bottiglia di polietilentereftalato (PET), latta, bag-in-box e bottiglia di vetro chiaro e di vetro verde UVAG, dimostrando che per gli olii il vetro scuro rimane ancora il packaging di elezione.

Anche per Ambrosiae, una realtà nata circa sei anni fa e giovane anche nel suo organigramma, ricerca e innovazione sono un discorso che parte dal prodotto e arriva alle scelte di packaging. Commenta Luca Olivieri, Operation Manager dell’azienda: «Il principio cardine per la scelta è sempre la sicurezza del prodotto, quindi nel valutare con quali packaging proporci il primo criterio è stato scegliere un confezionamento resistente all’umidità e all’ingresso di ossigeno, per garantire ai nostri consumatori un alimento sano dal primo all’ultimo momento della sua vita. Una volta garantito questo principio, l’altro cardine è la sostenibilità, per cui abbiamo privilegiato gli imballi in carta e cartone, che tra le materie prime a disposizione è quella con un minore impatto sull’ambiente. Abbiamo lavorato molto sul design: una decina di anni fa il mondo del biologico era composto prevalentemente da piccole realtà per cui l’aspetto comunicativo non era fondamentale, e i nostri packaging che si ispiravano a un immaginario vicino al lusso e all’alta moda – quasi un abito sartoriale cucito addosso al prodotto – saltavano subito all’occhio per l’approccio differente. Al momento stiamo facendo dei test di confezionamento con i film compostabili, un materiale molto promettente che, però, per il nostro tipo di prodotto è ancora prematuro, perché non garantisce i requisiti per la conservazione ottimale».

Nel caso di Acetaia San Giacomo la filosofia che ha guidato le scelte di packaging è un minimalismo attento e rigoroso, frutto di una precisa ricerca. Spiega Andrea Bezzecchi, presidente del Consorzio dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia e proprietario dell’acetaia: «Per noi l’importante è il contenuto: non vogliamo comunicare in etichetta cose che non ci sono. Il problema nel nostro settore è che c’è una tendenza in direzione contraria, di grande confusione, per cui le informazioni in etichetta sono eccessive, ridondanti e non tutte necessarie per il consumatore. Chi deve fare una valutazione si trova di fronte troppe informazioni non rilevanti che non aiutano a fare una scelta informata. Noi abbiamo deciso di tirare una riga e partire dalla pagina bianca, comunicare l’essenziale, lasciar parlare il prodotto e dare informazioni chiare per scegliere in maniera consapevole».
L’acetaia è stata anche la prima ad aver implementato nei propri packaging un sistema di tracking anticontraffazione, per garantire il livello qualitativo e la provenienza del proprio prodotto. Il sistema Balsamic Track permette attraverso il numero di serie univoco presente su ogni bottiglia di ABTRE DOP, di risalire alla filiera di ogni singola ampolla: a partire da quali barili è stato prelevato l’aceto, quando è stato testato dall’Organismo di Controllo, che punteggio ha ricevuto in degustazione, quando è stato imbottigliato e di quante bottiglie è composto il lotto.

Nel decennio tra il 2009 e il 2018 il valore delle esportazioni del biologico è passato da 1 a 2,3 miliardi di euro, il 127% in più in un arco di dieci anni. Gli esperti prevedono una crescita altrettanto marcata come effetto del cambiamento di abitudini post-pandemia, almeno a giudicare dai segnali che arrivano dal mercato americano. Secondo i dati della Organic Trade Association, negli Stati Uniti il mercato del cibo biologico ha raggiunto i 50 miliardi di dollari nel 2019, una crescita del 5% rispetto al 2018. Percentuali estremamente incoraggianti ma niente a paragone dell’impennata del primo semestre del 2020, che sembra essere destinata a continuare anche nel secondo: il consumo e l’acquisto di prodotti biologici è cresciuto del 50% nella prima fare di “accumulo”, in cui le famiglie si sono preoccupate di procacciarsi tutto ciò che sarebbe potuto servire, ed è rimasto su una crescita di oltre il 20% per tutti i mesi successivi. Da sempre piazza importantissima per l’eccellenza del cibo italiano, gli Stati Uniti diventano quindi tanto più un mercato con cui comunicare in modi nuovi. E qui torna nuovamente in gioco il packaging, la cui importanza nel panorama dell’e-commerce in cui il cliente non può interagire di persona col prodotto non può essere in nessun modo sottostimata. 

«In questo momento il cambiamento più importante è il modo in cui comunichiamo e facciamo marketing per il mercato estero, da una comunicazione che si basa molto sull’esperienza abbiamo potenziato sia l’e-commerce che le esperienze online» dice Katy Lapini di Pruneti. «Abbiamo messo in piedi delle classi digitali, in particolare rivolte al mercato degli Stati Uniti. Questo ha significato anche creare rapporti più forti e con un dialogo molto più stretto anche coi nostri partner per l’importazione, che ci hanno aiutato nel raggiungere il pubblico dei consumatori in un modo nuovo rispetto al passato, persone che fossero fortemente interessate a un’esperienza».
Anche per Ambrosiae l’ecommerce ha assunto un’importanza nuova: «L’abitudine delle persone allo shopping online è sicuramente cresciuta, questo momento ha convinto ad avvicinarsi all’e-commerce anche fasce della popolazione che prima erano più sospettose. Sul nostro shop abbiamo già una gamma di box, per cui stiamo valutando anche la possibilità di sviluppare più avanti un sistema di subscription box: per il consumatore è sicuramente un pensiero in meno».

Un altro cambiamento importante – conseguenza diretta del cambio di abitudini post pandemia – di cui ancora non è facile predire la portata sarà invece il cambio dei formati. Per prodotti di eccellenza che hanno spesso come mercato principale la ristorazione di alto livello, il cambio di abitudini del consumatore finale cambia anche i modi di approvvigionamento delle cucine degli chef. Una tendenza notata da Acetaia San Giacomo, che ha nella propria offerta confezioni in diversi formati da 100ml, 250ml e 750ml a seconda dei diversi prodotti nella propria gamma: «Per le caratteristiche del nostro prodotto la nostra clientela è composta al 70-80% dalla ristorazione, e abbiamo notato un cambiamento nell’ultimo periodo perché si è tornati di più ad acquistare i formati medi. Negli ultimi anni anche per i prodotti più premium avevamo realizzato delle bottiglie in formati più grandi per le cucine, perché comunque i volumi consentivano un uso continuativo, ma in questo momento le cucine tendono a fare stime più conservative».
E nella ricerca di formati inediti e materiali sostenibili in grado di tenere insieme la fiducia dei consumatori e comunicare con chiarezza la qualità di prodotti di eccellenza del panorama agroalimentare italiano si gioca la sfida del packaging per il biologico di alta gamma.


05/03/2021


Inchieste e ispirazioni