How it's made

Carta: istruzioni per l'uso

Secondo i cinesi la carta fu la prima di quattro grandi invenzioni, seguita dalla bussola, dalla polvere da sparo e dalla stampa. Ma se si fa presto a dire carta, meno semplice è parlare di carte, e capire come scegliere, tra le migliaia disponibili, quella giusta per il progetto che si vuole realizzare. Tra patinate, naturali, riciclate, ecologiche, tinte in pasta, creative, speciali, estreme… ecco una piccola guida per orientarsi.

Di Lorenzo Capitani | Su
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Non ci pensiamo mai, eppure la carta è sempre con noi. E lo è almeno da quando nel 105 d.C. l’ufficiale di corte cinese Cai Lun ne descrive per la prima volta la fabbricazione con «corteccia di alberi, canapa, brandelli di tessuti e reti da pesca»; o forse già prima, dalla metà del II secolo a.C. a cui risalgono i primi ritrovamenti archeologici di carta nella città cinese di Dunhuang nel Gansu.
Curiosamente, come sostiene Mark Kurlansky (autore di Carta, Bompiani, 2016), la carta appare come «un’invenzione improbabile: ridurre il legno o il tessuto alle sue fibre, diluirle in acqua e passarle su un setaccio per formare un foglio non è una serie di passaggi per così dire logici, come la stampa cui diverse società sono arrivate indipendentemente più o meno nello stesso tempo».

Addirittura, all’inizio gli europei non sapevano cosa farci e ci vollero più di mille anni e lo studio delle arti arabe della matematica e della scienza perché abbandonassero pergamene e papiri. Oggi la carta, nonostante ci troviamo in piena civiltà digitale, resta il materiale più diffuso con una produzione mondiale annua di 420 milioni di tonnellate e non c’è ambito in cui non esista almeno un’alternativa di carta: la VDP, l’associazione delle cartiere tedesche, stima che esistano più di 3.000 tipi di carte in commercio.

Carta come uso e riuso per oggetti, ma anche come veicolo di comunicazione. Tolti i libri e i giornali, di carta sono fatte le veline per gli agrumi e tessuti, gli isolanti elettrici per condensatori, i panni assorbenti, i filtri, i supporti per cosmetici, le tappezzerie, le stoviglie, gli astucci, imballi e le confezioni, la cancelleria e mille altre cose. E di carta oggi sono fatti anche i dispositivi di protezione individuale realizzati in questi tempi di emergenza COVID-19. Gruppo Cordenons e Fedrigoni hanno sviluppato carte virostatiche per la fabbricazione delle mascherine a partire da carte nate per la filtrazione alimentare, mentre la cartiera Mondi ha riconvertito il suo stabilimento di Gronau in Germania per produrre i lacci per le mascherine dalla linea di produzione di pannolini per bambini.

Senza pretendere di essere esaustivi, vogliamo iniziare il nostro viaggio da qui per ripercorrere lo sconfinato mondo di questo materiale che, composto da alcuni elementi base come cellulosa, pasta legno, sbiancanti, collanti e sostanze chimiche varie, sa prendere forme sempre nuove e caratteristiche sorprendenti. L’intento è di una piccola guida, non certo esaustiva, da tenere sotto il banco, come un foglietto al compito in classe.

Patinate
Lucida o opaca: parte tutto da questa semplice distinzione. È la patinatura che fa la differenza. Un sottile velo di una dispersione acquosa, la patina appunto, costituita da pigmenti (principalmente caolino, carbonato di calcio e talco), leganti (come l’amido, la cellulosa e l’alcol polivinilico) e coadiuvanti a base di lattice, che viene steso sulla carta per renderla più liscia e uniforme possibile. Il che facilita la stampa e migliora la resa di testi e immagini perché la superficie risulta liscia e la luce riflette in modo uniforme. Inoltre, la carta subisce un successivo trattamento di calandratura per alzare il tasso di lucido: più viene calandrata e più sarà lucida. La differenza tra patinata lucida e opaca è tutta qui.
Ma attenzione, c’è una grande differenza tra le due non solo estetica. Infatti, non è un caso che le carte opache siano nate per migliorare la leggibilità, perché superfici extra-lucide non solo possono provocare fastidi, ma rendono difficile perfino il raggiungimento di una brillantezza di stampa che superi quella della carta stessa, pur mantenendo alto il contrasto ottico sui neri e la saturazione dei colori: in altre parole, a meno di non verniciare le immagini a registro, la differenza tra la lucentezza di una carta molto lucida tra le parti stampate e la carta spesso può essere nettamente inferiore rispetto a una opaca. Esiste, però, la giusta via di mezzo costituita dalle semi-opache, o satin, che hanno superfici meno rugose rispetto alle opache e non hanno l’effetto traslucido. Sono anche un buon compromesso per stampa e lavorazioni successive perché maggiormente resistenti all’abrasione che affligge spesso le opache che, in linea di massima, è quasi sempre meglio verniciare. Esistono decine di carte patinate lucide e opache nei cataloghi delle cartiere perché sono le più diffuse per la maggior parte degli stampati con un ventaglio che copre tutte le grammature e tutti gli usi. Anche per carte ormai così sperimentate, alcune delle quali esistono da decenni, come le Magno di Sappi e le R4 di Burgo Group solo per citarne un paio, è sempre buona norma avere schede e i campioni aggiornati. Al di là delle scelte estetiche, è bene sempre riflettere sulla destinazione d’uso: ad esempio, usereste una patinata lucida per un blocco appunti? Meglio di no, la riduzione della porosità e l’utilizzo di resine e del lattice ostacola il trasferimento dell’inchiostro o della mina di matita, eppure non mancano libri scolastici stampati su questa carta.

Patinate speciali o smaltate
Estremizzando la patinatura si arriva a ottenere patinate super patinate a effetto smalto molto lisce. La patina in queste carte ha un alto titolo di leganti che arrivano quasi a laccare la superficie a specchio. Per ottenere questo effetto estremo la lavorazione avviene fuori linea e può essere applicata anche solo su uno dei lati. Possono essere bianche con eccellente resa cromatica e colorate, in pasta o solo in superficie. Un buon esempio è la serie Bindakote di Favini che esiste mono e bipatinata bianca, colorata (nero compreso), perlata e satinata. Ma l’uso di pigmenti apre alle più diverse finiture micalizzate, metallizzate (come la Splendorlux Metal di Fedrigoni), oro e argento (come la serie Venicelux di Gruppo Cordenons), iridescenti e perlacei come la Sirio Pearl di Fedrigoni. Queste carte hanno tutte buona rigidità, elevata resistenza alla cordonatura, ottime prestazioni alla fustellatura e alla piega-incolla e sono particolarmente adatte ai biglietti di auguri, partecipazioni, cataloghi, brochure, edizioni di pregio, packaging di lusso, menù, biglietti da visita.

Naturali non patinate
Con questa denominazione in generale si indicano le carte naturali che non hanno subito patinatura. Generalmente possono essere classificate o in base alla fibra, “con legno” e “senza legno” (ovvero con pura cellulosa), o in base alla finitura della superficie, “liscie” e “ruvide”. Si va dalle uso mano per edizione, quella che normalmente identifichiamo come la classica carta per stampare lavori di pregio con molto testo, pubblicazioni editoriali, libri e manuali, brossure, fino alla carta da giornale, decisamente meno nobile, nelle varianti giornale migliorato, patinatino o BC (bianco calandrato) destinate a offset o rotocalco. Sono carte molto porose e di conseguenza risultano anche molto assorbenti tanto che, se non trattate con resine che riducono la penetrazione dell’inchiostro, hanno una resa che tende a chiudere i colori nel caso di fondi pieni o di uso eccessivo di nero. A fare la differenza nelle carte naturali è soprattutto la presenza del legno (o meglio di lignina) che tende a farle ingiallire con il tempo, e non la calandratura che contribuisce solo a renderle più lisce. Si nota soprattutto nei libri che, prendendo luce e ossidando, nel tempo risultano ingialliti ai bordi, mentre lo specchio della pagina conserva il colore originale, e nei settimanali ad alta tiratura stampati in rotocalco che usano una carta liscia, ma di bassa qualità. Ovviamente, ci sono anche carte di gran pregio che non sono afflitte da questo problema come la Splendorgel Extra White di Fedrigoni di pura cellulosa o la cosiddetta carta bibbia; questo tipo di carta è estremamente sottile, con grammature comprese tra i 25 e i 40 g/m², del tutto senza legno e contiene cotone o lino per aumentare la resistenza. Viene usata per la fabbricazione di Bibbie, enciclopedie, dizionari o libri che hanno un gran numero di pagine come la PakoPharm di Koehler che ha brillantezza pari a 100. O ancora carte naturali colorate in pasta come la Pergraphica della cartiera Mondi che è disponibile anche in versione Infinite Black.

Carte creative
Ma il bello della carta arriva con quelle creative, molto performanti e molto comunicative. Qui esiste veramente l’imbarazzo della scelta per tipologie, coloriture e finissaggi. Si tratta sempre di prodotti industriali, ma che mantengono quel sapore di artigianalità che le carte standard o di consumo non hanno. Tradizionalmente si dividono in marcate, vergate e goffrate. In generale sono tutte caratterizzate da una superficie non liscia, ma segnata da una trama, hanno aspetto ruvido e materico. Le marcate hanno motivi in bassorilievo impressi a feltro nella fase di formazione del foglio in cartiera. Al crescere della grammatura la marcatura si fa anche molto netta. È il caso della Modigliani Bianca/Neve (Gruppo Cordenons) o della Tintoretto Gesso (Fedrigoni), una carta naturale di pura cellulosa, “croccante” al tatto, marcata a feltro su entrambi i lati: il disegno superficiale è leggero e uniforme e appare a “buccia di arancia”. Si presta alla realizzazione di edizioni librarie, brochure, opuscoli, coordinati grafici ma anche menù, inviti, partecipazioni e biglietti augurali.
Le vergate si riconoscono invece da una trama regolare, più o meno fitta, composta da striature verticali, dette vergelle, o millerighe orizzontali, dette catenelle. L’effetto che si ottiene è un chiaro-scuro che ha solo una funzione estetica. Sono particolarmente adatte per le edizioni di pregio, monografie, dépliant, inserti, cataloghi e per usi cartotecnici e di legatoria. Le vergate esistono anche in versione adesiva per usi alimentari, come ad esempio le etichette del vino. Un esempio è la Label Stucco Corolla di Fedrigoni nelle versioni white e Avorio o la Constellation Snow di Arconvert. Attenzione a non confondere la carta kraft, all’apparenza vergata, con le vergate “artistiche”. Lo vedremo più avanti, ma la carta da imballaggio ha doti fisiche notevoli che vanno oltre l’aspetto grezzo. Le carte goffrate vengono impresse a secco attraverso il processo di goffratura tramite il quale si riproduce sulla carta un disegno in rilievo, come ad esempio la texture della pelle, le venature del legno, un marchio, figure geometriche o creative, attraverso una matrice con l’ausilio di pressione ed eventualmente calore, attraverso due rulli, uno d’acciaio e l’altro rivestito di carta o cotone, che imprimono un disegno più regolare di quello delle marcate, ma con una varietà decisamente superiore rispetto alle vergate che hanno solo motivi verticali o orizzontali. Queste carte, dette anche embossed, possono essere prodotte su commissione per ottenere effetti telati, rigati, martellati, geometrici, ispirati alle texture naturali: finiture che vengono scelte soprattutto per il packaging perché possono trasmettere sensazioni tattili uniche e tridimensionali, che aggiungono maggior valore allo stampato. Ricordate però che alterare la planarità della carte significa anche modificare il modo in cui riflette la luce e di conseguenza la tinta o il grado di lucido.

Carte filigranate
Queste carte nascono con la nascita stessa delle cartiere, probabilmente sul finire del 1200 a Fabriano, per contraddistinguere la propria produzione con marchi presenti direttamente sulla carta visibili solo in controluce. La funzione di anticontraffazione della filigrana è ancora in uso nelle banconote, nei valori bollati, nei diplomi e nei certificati e in tutti quegli stampati in cui sia necessaria la garanzia di autenticità, ma può avere anche una valenza artistica. A differenza delle carte marcate a feltro o goffrate a rullo, nelle filigranate il disegno è nell’impasto stesso e non impresso a posteriori. La filigrana si ottiene in fase di formazione della carta quando ancora l’impasto è molto umido. L’impasto viene “segnato” dai rilievi presenti sul piano di formazione da un disegno in negativo della filigrana finita. Le fibre della carta si dispongono naturalmente seguendo i rilievi e le insenature, creando depositi quasi impercettibili al tatto ma che controluce danno vita a disegni e scritte. A seconda di come viene impressa sulla carta, la filigrana si distingue in Mould made, Electrotype o Fourdrinier: quello che cambia è l’intensità e la varietà dei contrasti tonali del disegno. Filigranata, però, non vuol dire pergamenata: infatti, quella marezzatura, o nuvolatura come si dice in gergo, di certe carte effetto pergamena usate per stampe d’arte, pergamene, inviti, partecipazioni, come la serie Marina di Fedrigoni o la Laguna di Favini, e che si vede controluce, è data dalla composizione della pasta e non dall’uso di filigrane.
Tolto l’uso delle carte di sicurezza per le quali Fabriano Security è leader, le cartiere offrono carte filigranate soprattutto per stationery e corrispondenza, ma anche per la stampa offset, un esempio per tutti è la serie Century Cotton di Fedrigoni. Ma vale la pena esplorare le innumerevoli offerte di cartiere più o meno piccole che producono carte filigranate in modo artigianale per realizzare stampati davvero esclusivi. Attenzione solo alla macchinabilità di questi prodotti di nicchia che non hanno le stesse garanzie delle carte industriali.

Carte riciclate
La carta riciclata è prodotta dal macero degli sfridi delle tipografie e dagli avanzi dei tagli delle stesse cartiere, usando fino al 50 -100% delle fibre di recupero. Il riutilizzo avviene dopo un particolare processo chimico che asporta gli inchiostri dalle fibre. Non deve essere confusa con la carta riciclabile, cioè quella che è possibile recuperare fino a sei volte dopo il suo utilizzo preservando le risorse naturali. La carta riciclata può essere uso mano oppure patinata e può avere un aspetto naturale, tendente al grigio, oppure un alto punto di bianco. Sfatiamo il mito della scarsa qualità di questo tipo di carta: la carta riciclata ha una qualità analoga alla carta di cellulosa vergine, oltre ad un impatto ambientale minore. Viene utilizzata per libri d’arte, bilanci istituzionali, cataloghi, cartoline, opuscoli e inviti. Eppure non tutte le carte sono adatte a realizzare carta riciclata. Secondo Comieco se la carta o cartone e cartoncino è stata sporcata non può essere differenziata, no dunque ai fazzoletti o alla carta cucina unta, e non possono essere riciclate, ovviamente, le carte con parti sintetiche o materiali non cellulosici, come la carta accoppiata all’alluminio o alla plastica, gli scontrini e le ricevute del POS. Si tratta di uno degli errori più ovvi: sono fatti di carta termica che contiene l’inchiostro direttamente nella fibra e che si attiva con il calore. La lavorazione della carta da recupero comporta ogni volta una perdita di fibre del 20-25% circa, pertanto la stessa carta da macero può essere riutilizzata per 4 o 5 volte. Stante questa situazione è ovvio che non sarà mai possibile eliminare completamente l’utilizzo di cellulosa vergine, pena un eccessivo svilimento qualitativo di tutta la carta prodotta. Oggi una delle più grandi cartiere specializzate nella produzione di carta riciclata per stampa offset e digitale è la tedesca Steinbeis Papier con una produzione annuale di circa 300 mila tonnellate di carta. Si tratta di carte patinate leggere della linea Charisma e Select, destinate la prima alla stampa in bobina caratterizzata dalla bassa grammatura per la stampa di periodici, cataloghi e stampati commerciali, mentre la seconda, con grammature fino ai 130 g/m² e una buona resistenza alla piega e alle nobilitazioni, destinata alle copertine.
Ma esistono anche carte riciclate più ricercate come la Woodstock di Fedrigoni: composta per l’80% da fibre riciclate che si intravedono sulla superficie e per il 20% da pura cellulosa, è una riciclata con finitura superficiale lisciata e, nella versione non colorata, un delicato color bianco betulla che trasmette una sensazione di naturalezza ed essenzialità.

Carte ecologiche
Riciclato richiama alla mente anche ecologico, ma le due cose non sono sinonimi. Con la definizione di carta ecologica si indica la carta riciclata con il 100% di fibre di recupero e non soggetta a operazioni di de-inchiostrazione o sbiancamento. Quindi una carta riciclata non è per forza anche ecologica: proprio l’utilizzo di carta da macero, l’assenza di lavorazioni e di sostanze inquinanti fanno di questo supporto un prodotto a tutti gli effetti ecologico. Differente è invece la carta riciclata, per ottenere la quale si utilizzano processi che hanno comunque un impatto ambientale. Anche se le cartiere stanno lavorando per ridurre o azzerare questo impatto. È recente l’annuncio di ICMA che ha presentato le nuove carte “100% R Bases”, 100% riciclate, certificate FSC Recycled Credit, prodotte senza il passaggio intermedio della produzione della cellulosa riciclata con il conseguente risparmio energetico e di risorse e realizzate senza l’utilizzo di sbiancanti ottici. In generale con ecologica si intende una carta che rispecchia certi standard produttivi rispettosi dell’ambiente. In questo senso l’FSC resta la certificazione forestale più accreditata al mondo che garantisce la corretta gestione forestale e la tracciabilità dei prodotti derivati e dell’intera filiera. Allo stato attuale non c’è praticamente carta che non abbia la certificazione FSC in una delle sue forme: “100%” quando la materia proviene totalmente da foreste certificate, “riciclato” quando il legno o la carta di cui è composto il prodotto provengono da materiale da riciclo e recupero, e “misto” che indica che il legno o la carta all’interno del prodotto provengono da materiale certificato FSC, materiale riciclato o legno controllato (non meno del 70%).

Carte tinte in pasta
Basta sfogliare un qualsiasi catalogo di carte per accorgersi che la carta non esiste solo bianca, ma può essere colorata prima ancora di essere stampata. La tinta in pasta è il comun denominatore di quasi tutte le tipologie finora viste e per ottenerle le cartiere aggiungono coloranti direttamente nella tina di miscelazione. Si tratta di coloranti di diversa natura, ottenuti da pigmenti naturali o sintetici. In particolare alcune cartiere usano scarti di sotto-prodotti di lavorazioni agro-industriali che rispetto ai pigmenti danno delle colorazioni più tenui e naturali. Ma quando scegliere una tinta in pasta piuttosto che stampare una carta bianca? A differenza di quello che si potrebbe pensare, un discrimine non è la necessità di avere una tinta ben precisa, questo perché ormai le cartiere sono in grado di creare carte colorate al campione. Una tinta in pasta ha il vantaggio di consentire le stesse lavorazioni della carta bianca senza sembrare “spaccata” nei punti di piega e cordonatura, problema che affligge soprattutto le carte più fibrose o i punti in controfibra, ma anche in taglio e fustellatura. A meno di finiture o patinature particolari applicate sulle superfici, anche con le nobilitazioni come verniciatura e plastifica si comportano egregiamente, attenzione solo alla stampa a caldo: i nastri metallici reagiscono con alcune sostanze come il nerofumo, per questo alcune cartiere nel tingere in pasta carte nere usano pigmenti senza Carbon Black per ovviare a questo problema, come la Fedrigoni Sirio Colour Rough che oltretutto è certificata FSC, di pura cellulosa E.C.F., biodegradabile e riciclabile. Interessanti anche i cartoni tinti in pasta che sfruttano lo spessore per effetti cromatici diversi. Borsotti realizza per accoppiamento cartoni con l’anima nera o beige con spessori fino a 4 mm.

Carte speciali
Se ci guardiamo intorno di carte con caratteristiche speciali, se non con i super poteri, ce ne sono più di quello che sembra. Perché la carta è davvero un materiale speciale: pochi elementi base miscelati in modo diverso, l’aggiunta di sostanze chimiche o trattamenti particolari e si ottengono carte con caratteristiche fisiche diverse, a volte sorprendenti. Esistono infatti carte geaseproof e antimacchia, come la Immaculate di Arconvert, in grado di essere impenetrabili a oli e grassi vegetali e dunque perfette per il confezionamento dell’olio d’oliva e per tutti quei prodotti che richiedono resistenza alle sostanze oleose. L’alternativa, prima, era l’utilizzo di carte naturali dalla colorazione scura per cercare di mascherare la macchia, oppure di film autoadesivi che però non rispecchiavano le caratteristiche genuine del prodotto. Esistono carte antispappolo, ovvero resistenti all’umidità e all’acqua, non solo per il grande formato come la Blue Back opaca, studiata e testata per resistere all’aperto alle intemperie, ma anche per etichette. Carte naturali 100% in fibra di cotone con trattamento antispappolo e antimuffa e con finiture vergate o martellate, mano porosa e adatte a lavori di pregio come le etichette di vini e liquori in genere in grado di resistere alla prova cestello del ghiaccio.
Anti umidità, resistente ai grassi e alla cottura è la pergamena vegetale adatta al contatto diretto con alimenti grassi quali burro, formaggi freschi, salumi, carne, pesce, cottura al cartoccio. Simile ma non uguale, è la carta da forno in grado di resistere in genere a temperature fino a 250 gradi, anche se oltre i 220 può disgregarsi. Può trattarsi di una carta semplicemente rivestita di silicone, oppure di carta simile a pergamena ottenuta in un bagno a base di agenti chimici come l’acido solforico.
Un’altra carta ad alte prestazioni, la cosiddetta carta Kraft, è un tipo di carta da imballo tecnicamente migliore rispetto alla comune . Kraft in tedesco vuol dire forza, e questa carta fa della resistenza la sua dote principale. Prodotta secondo il processo kraft, inventato da Carl F. Dahl nel 1879, è composta da cellulosa di conifere trattate con solfato modestamente raffinata, per esaltare al massimo i valori di resistenza alla trazione ed allo scoppio, senza compromettere la resistenza alla lacerazione. È un tipo di carta prodotta con grammature che vanno dai 65 ai 100 g/m2 che trova largo impiego nella fabbricazione dei sacchi multifogli per cemento, calce, fertilizzanti, farine, prodotti chimici, resine sintetiche, nonché di sacchetti contenitori vari e buste.

Carte estreme
Senza contare le carte adatte ad accoppiamenti con film plastici o metallici, ci sono anche carte che possiamo definire estreme perché riescono a resistere ai due nemici tradizionali della carta: lo strappo e il fuoco. Non propriamente carte, le antistrappo sono carte sintetiche. La Polyart, ad esempio, ha una base plastica di polietilene ad alta densità, è resistente a strappi, acqua, olio e molte sostanze chimiche, e per questo è adatta a card, menu, cartine geografiche e a prodotti sottoposti a manipolazioni continue, ma soprattutto si stampa, si piega e si taglia come una patinata qualsiasi senza limiti di macchinabilità. Ma ne esistono anche altre a base di Tyvek, un tessuto non tessuto brevettato da DuPont, quello, per intenderci, dei braccialetti dei club vacanze o dell’abbigliamento monouso, di aspetto simile alla carta non solo resiste ad acidi e basi, è traspirante ma impermeabile all’acqua, non è tossico ed è riciclabile. Si stampa, non si strappa ma si taglia. Sviluppata invece per resistere al fuoco è la Solaris Flam di Burgo Group, nata per la stampa di manifesti per affissione interna e per accoppiamento su cartone per espositori dove il supporto di stampa deve rispondere a requisiti di qualità e rispettare rigorose norme di sicurezza come centri commerciali, metropolitane, stazioni ferroviarie, gallerie, cinema, teatri, musei. Trattata con agenti antifiamma a base di composti inorganici di fosforo e azoto, è classificata in classe M1 (combustibile non infiammabile) come reazione al fuoco, è senza legno con buon grado di opacità e di bianco e con ottima resa sia in stampa offset sia in stampa digitale.
Infine ci sono anche le carte antibatteriche come la Protections composta al 100% da pura cellulosa, le cui fibre sono trattate con ioni di argento stabilizzati con proprietà antibatteriche naturali e stabili nel tempo. Nel 2012, l’Istituto Italiano di Tecnologia ha brevettato un sistema per rendere, tramite le nanoparticelle, i materiali cellulosici come la carta o i tessuti in cotone, impermeabili, magnetici, antibatterici o fluorescenti senza compromettere le loro caratteristiche primitive, rimanendo quindi stampabili e lavorabili esattamente come prima.
Insomma, la carta fa davvero parte della nostra vita: ci sarebbe ancora tanto da scoprire ma ci vorrebbero troppe risme… di carta, ovviamente.


Le parole della carta
Grammatura
La grammatura è il peso specifico della carta espresso in grammi al metro quadro (g/m²). Il suo valore dipende dallo spessore e dalla consistenza del foglio, quest’ultima legata al tipo di lavorazione, alla quantità di fibra di legno presente (più fibra di legno c’è più è spessa), alla composizione della carta stessa e ai trattamenti subiti. Solitamente, all’aumentare della grammatura corrisponde anche un aumento dello spessore della carta e della sua rigidezza. Tuttavia, non è una regola ferrea, in quanto ci sono tipi di carta sottili ma estremamente consistenti e rigidi. Esistono diverse classificazioni in base alla grammatura, ma la più semplice è la seguente:
Carta comune o carta bibbia ha una grammatura compresa fra i 25 e i 35
Carta leggera tra i 60 e 90 grammi (da fotocopie per intenderci)
Carta da stampa tra i 90 e 140 grammi (carta intestata)
Cartoncino tra i 140 e i 360 grammi (biglietti da visita, presentazioni)
Cartone tutti i materiali cartacei che superano i 360 grammi

Punto di bianco
Il punto di bianco indica il grado di luminosità della carta rispetto allo standard fissato (ossido di magnesio = 100%). Tanto più alto è il grado di bianco, tanto più bianca è la carta. Anche in questo caso il grado di bianchezza della carta dipende dalla gradazione delle fibre e dai processi chimici effettuati durante la lavorazione della stessa.

Grado di lucido
Rappresenta il modo in cui la carta riflette la luce. Una maggiore brillantezza ha l’effetto di una maggiore riflessione e quindi un maggior grado di lucido. Dato il massimo fattore di lucido fissato a 100 (luce riflessa da un vetro nero), una carta lucida (gloss) va tra 50 e 80, una satinata (silk) tra 20 e 40 e opaca (matte) tra 10 e 20.

Porosità (PPS)
La forma geometrica della superficie cartacea è definita come la deviazione dalla superficie ideale perfettamente piana. Quanto più piccole e uniformemente distribuite sono le irregolarità della superficie, tanto più liscia risulta la carta. Tanto più alto è il valore di PPS tanto più è porosa la carta.

Opacità
Indica il grado di impermeabilità alla luce, espresso in percentuale rispetto alla luce riflessa. Un valore alto indica una carta opaca, mentre sotto un certo valore si parla di carta trasparente. Il peso è certamente determinante nell’aumento dell’opacità come lo spessore ed il colore della carta.

Mano
Il volume specifico apparente (VSA), detto anche mano, rilevato grazie a un micrometro, è il rapporto tra lo spessore e la grammatura di un foglio di carta.

Senso di fibra
La carta è composta da una serie di fibre generalmente disposte nel senso di fabbricazione della carta stessa. A seconda del tipo di carta e della materia prima utilizzata (cellulosa, pasta di legno, carta di riciclo, stracci…), la struttura può essere più o meno macroscopica. L’umidità è il fattore chiave a cui le fibre di carta sono più sensibili: più questa è elevata, infatti, e più le fibre tendono gonfiarsi nel senso della larghezza fino al 20%, imbarcandosi. In questo senso la carta può considerarsi un materiale vivo.

Formato
Indica la superficie del supporto, il cosiddetto foglio. Secondo le norme ISO 216 il formato iniziale è un foglio di un metro quadrato delle dimensioni di 84,1×118,9 cm. Le misure successive si ottengono tagliando idealmente a metà il metro quadro lungo il suo lato maggiore. I formati che ne seguono sono: A1, A2, A3, A4, A5 ecc. il formato più comune è l’A4. Esistono anche la serie B, usata per poster e stampe di grandi dimensioni, e la serie C, utilizzata prevalentemente per le buste. Eppure, difficilmente si sentirà uno stampatore offset parlare di formati ISO: perché, una volta stampato il foglio, il più delle volte questo viene piegato e successivamente refilato al formato finito richiesto. E per far ciò lo stampatore deve lasciare dei margini di lavoro a chi confezionerà, ragionando su formati detti “intonsi”. Ecco perché i formati di carta più comunemente usati dagli stampatori sono il 70x100 cm e il 64x88 cm con i loro sottomultipli 50x70, 35x50 e 44x64 cm. Questo almeno per chi stampa a foglio: per le bobine si usa l’altezza.

 


27/11/2020


How it's made